Destino cinico e Bari
Padoan spiega a Lega e M5s perché le banche si proteggono promuovendo aggregazioni, non ostacolandole
Roma. Matteo Salvini si diceva già pronto alla pugna. “Renzi – tuonava il leader della Lega – cerca di mettere le mani anche sulle banche popolari. Ma noi siamo pronti a salire sulle barricate a difesa dei territori. Intanto fermiamo questo tizio, è pericoloso!”. Danilo Toninelli, più acuto, già avvistava il complotto: “Così il Gruppo banco popolare potrà diventare di proprietà di qualche banca internazionale la cui mission sarà la speculazione finanziaria”. A sentirsele rileggere oggi, quasi cinque anni dopo, le accuse di chi gli dava del “golpista”, del “servo della finanza straniera”, Pier Carlo Padoan reagisce con uno sbuffo di atarassia.
“Non chiedo le scuse, né me le aspetto. E del resto le scuse non risanano i bilanci delle banche”. Neppure quelli delle banche popolari: le banche, cioè, che il governo Renzi, di cui Padoan era ministro dell’Economia, volle riformare a inizio 2015 con un decreto che imponeva la loro trasformazione in spa. “Un provvedimento che si attendeva da almeno vent’anni, e che si proponeva di adeguare gli istituti di credito italiani al mercato nuovo, italiano ed europeo, in grande mutamento. Ecco – sospira Padoan – spero che chi all’epoca era critico, un po’ per malafede e un po’ per ignoranza, tragga una lezione da questa vicenda”. E la vicenda in questione è quella della Popolare di Bari: l’unica, insieme alla Popolare di Sondrio, che s’è opposta a quella trasformazione, a suon di ricorsi alla Corte costituzionale (respinto) e alla Corte di giustizia europea (ancora in sospeso). “Il che non ci consente di avere delle controprove”, mette le mani avanti Padoan. “Sappiamo però che le altre otto popolari che si sono adeguate al decreto ora registrano un aumento di efficienza, e nel caso di Bpm c’è stato anche un accorpamento importante. Bari? Di certo avrebbe dovuto tenere conto in maniera più pressante di criteri di efficienza e di sostenibilità nel definire gli investimenti che ha fatto in questi anni”. Anni in cui, comunque, di scricchiolii ce ne sono stati, eccome.
“Nessuno dica che la Vigilanza ha dormito”, aggiunge Padoan, “perché Banca d’Italia portò alla luce alcune criticità nella Popolare di Bari sin da prima dell’entrata in vigore di quel nostro decreto”. E invece, a giudizio delle opposizioni di allora, l’intento del governo era un altro. E infatti il 19 marzo del 2015, mentre il Senato discuteva quel provvedimento, il grillino Vito Crimi, ora sottosegretario all’Interno, sentenziava che la presunta urgenza del decreto era solo quella “di risolvere questioni interne, di poter ottenere vantaggi economici diretti con l’emanazione di un decreto legge”: insomma, tutto “un pretesto” per affrontare le “note vicende che riguardavano da vicino il ministro Boschi, legate alle varie banche popolari”. Per Gianni Girotto, pure lui grillino, si trattava di un “golpe”. E non a caso il M5s si spinse fino a presentare un esposto alla Consob accusando il governo di aggiotaggio. Lo fece in compagnia dell’Adusbef, l’autoproclamatasi associazione a difesa dei risparmiatori, guidata all’epoca da Elio Lannutti, lo stesso che ora, promosso senatore tra le file del M5s, persiste nella sua volontà di volere presiedere la commissione d’inchiesta sulle Banche
Né, del resto, i leghisti ci andavano giù più leggeri. “Questi si stanno appropriando delle banche popolari”, urlava nell’Aula del Senato, il 24 marzo del 2015, Stefano Candiani, pretoriano salviniano poi scelto come sottosegretario al Viminale. “Vogliono farla passare come riforma virtuosa per il sistema creditizio, ma qui dentro del sistema creditizio non se ne agevoleranno che gli speculatori. Voi oggi non potete più dirvi difensori del popolo, ma solamente di lobby che vi stanno dietro e che, tramite le proprie capacità di pressione, vi obbligano a votare queste schifezze fatte dal governo”. Nella retorica leghista, un po’ nostalgica e un po’ ingenua, la riforma delle popolari uccideva quel legame delle piccole banche coi territori di riferimento “mettendo a rischio – affermava Nunziante Consiglio, del Carroccio – il finanziamento alle imprese e alle famiglie”. Il suo collega Jonny Crosio faceva appello al popolo dal suo scranno senatoriale: “Cari italiani, a breve, quando ci recheremo allo sportello della nostra banca, qualora restassero aperte, se ci andrà bene (e si fa per dire) parleremo tedesco, se ci andrà male, parleremo cinese”. Ma nemmeno davanti a queste critiche, Padoan si scompone. E anzi rivendica che “oltre alla riforma delle popolari, facemmo anche quella sulle Bcc, agevolando le aggregazioni delle piccole banche sul modello francese. Ciò servì a consentire economie di scala senza però mettere a rischio la relazione delle banche coi loro territori. Tema, questo, intorno al quale però troppo spesso si allestisce una narrazione romantica”.