La scuola svizzera sul nucleare
Non è vero che lo sta abbandonando, ma sta strategicamente studiando il suo futuro energetico
Al direttore - La Svizzera chiude il nucleare? Al solito le distorsioni, le mezze verità e le bugie abbondano. Dal 2017 la Svizzera ha fatto una scelta politica: non investire sul nuovo nucleare (ma mantenere in piedi la ricerca) e non sostituire le centrali operative al termine del loro ciclo di vita. Ciò significa che la Svizzera continuerà a utilizzare l’energia nucleare fino al 2034 (fine ciclo vita della sua centrale più moderna, quella di Leibstadt). E’ la scelta che avrebbe dovuto fare l’Italia che, invece, chiuse centrali operative col referendum del 1987 condannandosi ad avere lo politica energetica più costosa, squilibrata e dipendente dell’intero mondo industrializzato. Va detto, innanzitutto, che la scelta svizzera di non sostituire, alla fine del loro ciclo di vita, le sue centrali è una scelta economica e non di sicurezza. Le quattro centrali svizzere, come tutte le centrali europee, sono state sottoposte alla rigida verifica degli “stress test”, predisposte dalle autorità europee dopo l’incidente di Fukushima (marzo 2011).
I risultati hanno accertato l’assoluta rispondenza delle centrali svizzere ai requisiti di sicurezza – su fattori come eventi sismici, blackout elettrici, indipendenza dei sistemi di sicurezza – richiesti in base alle “lezioni” dell’incidente giapponese. Non è un caso che in Svizzera, paese dei referendum ricorrenti, tutti quelli contro il nucleare siano sempre risultati sconfitti. La disattivazione, a dicembre 2019, della centrale di Muhlenberg è in regola, dunque, con la decisione del 2017: chiusura per fine ciclo di vita. La centrale era la più vecchia delle centrali svizzere, operava da 47 anni e non era facile un suo ulteriore allungamento del ciclo vita. C’è da dire, anzi: ogni altro impianto di generazione energetica (da quelli eolici e fotovoltaici a quelli ad olio, gas e carbone) ha un “ciclo di vita” al termine del quale va smantellato: di media, la durata è tra i 15 e i 25 anni. Solo gli impianti nucleari hanno un ciclo vita che varia tra i 50 e i 60 anni. è una delle convenienze di un impianto nucleare: costa molto avviarlo ma costa poco manutenerlo e dura il doppio e più di ogni altro impianto energetico. E’ giusta la decisione svizzera di “non sostituire” le sue centrali nucleari, vecchie e in chiusura, con altre centrali nucleari? Già per la sola centrale di Muhlenberg, disattivata a dicembre, la Svizzera afferma che la sua produzione ( ha una capacità di 373 MW) non potrà essere sostituita dal ricorso all’energia rinnovabile (che essa possiede in misura ingente per le risorse idroelettriche di cui dispone). Occorrerà ricorrere all’approvvigionamento sul mercato europeo dell’energia e al contributo di nuove centrali a ciclo combinato. Dunque fossili. Una scelta del tutto poco razionale.
La Svizzera, fino alla chiusura di Muhlenberg, era l’unico paese no-carbon d’Europa: con un terzo della produzione di energia elettrica da nucleare, della Svizzera, il 60 per cento di idroelettrico idroelettrica e il 5 per cento di rinnovabili. Ora si avvia a carbonizzarsi. La sostituzione del nucleare sarà per la Svizzera costosa, aumenterà la sua dipendenza dall’import e metterà la politica energetica svizzera in rotta di collisione con la decarbonizzazione decisa in sede europea. Nel 2034, anno del fine ciclo vita dell’ultima centrale nucleare svizzera e anno in cui l’Europa si pretende che dimezzi il suo attuale livello di emissioni carbonifere, la Svizzera dovrà sostituire il 37,9 per cento di quota del nucleare, sul suo portafoglio energetico, con importazioni e quota di energia da fossili. Lo stesso problema, aggravato, lo avrà la Germania che dovrà sostituire, nel 2022 (irrealistico) il 18 per cento di quota del nucleare (a cui andrebbero aggiunti i 42 Gigawatt di carbone da tagliare entro il 2038). Problemi che non avranno Francia, Belgio e Svezia che non contemplano, nelle loro politiche, la sostituzione del nucleare.
Svizzera e Germania vanno in controtendenza: nel mondo sono in programma oltre 70 nuove centrali nucleari. E in contrasto con le politiche di decarbonizzazione: far ricorso al nucleare no-carbon per sostituire le fonti fossili e non viceversa. Nelle ultime deliberazioni europee sul Green New Deal continentale, il nucleare viene esplicitamente riammesso come fonte no-carbon cui far ricorso per le politiche climatiche. Ma poi le politiche di Germania e Svizzera vanno in controtendenza. è evidente che, con queste contraddizioni insolubili, il dimezzamento delle emissioni carbonifere entro il 2030 è, per l’Europa, poco più di un’utopia perniciosa.
Umberto Minopoli, Presidente Associazione Nucleare Italiana