Roma. Alfredo Macchiati, oggi professore di Politica economica all’università Luiss e advisor della società di consulenza economica Oxera, ieri capo degli studi economici di Consob e alto dirigente di Enel e Fs, offre subito la definizione più corretta. Quello a cui stiamo assistendo tra governo e Autostrade per l’Italia, spiega, è “un caso esemplare di fallimento della regolazione”. Un fallimento nato dalla convenzione del 1997 tra Anas e Autostrade, allora controllata dal colosso Iri, e considerata “a tal punto in house che”, per ammissione dello stesso ministero delle Infrastrutture, “non ha tenuto conto di tante prescrizioni di garanzia e salvaguardia del bene pubblico” e che è finita per trasferire lo squilibrio a favore del partner industriale pubblico a quello privato, scambiando proroghe e extra profitti con rapide entrate per lo stato. Un fallimento, poi, ripetuto nel tempo nel tentativo di svicolare dai principi di concorrenza e trasparenza Ue, come provato dalle analisi di tutte le authority chiamate a esprimersi dalla fine degli anni 90 in poi. Con l’Autorità per la concorrenza e il mercato (Agcm), che già nel ’98 si schierava contro le proroghe e quella anticorruzione che ha segnalato tra l’altro “incrementi tariffari notevoli a fronte di investimenti esigui” e un “deficit sistematico dei controlli”. Il punto è che le polemiche attuali sulla concessione ad Aspi, quasi tremila chilometri di rete, pari alla metà del totale e all’80 per cento dei pedaggi, sono ancora totalmente condizionate da questo fallimento seriale nel porre regole nell’interesse dei cittadini. L’eventuale revoca della concessione, possibilità all’ordine del giorno dopo quel terribile 14 agosto 2018 quando crollò il Ponte Morandi, di fatto “sembra ignorare che anche il concedente, in linea generale, ha delle responsabilità sostanziali, al di là di quello che prevede la convenzione e che è materia per i giuristi”, riassume Macchiati.
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