Milano. Nulla è scontato quando in ballo c’è il rischio geopolitico più temuto del 2020, e cioè l’escalation delle tensioni in medio oriente, ma dopo lo scossone registrato nei primi giorni successivi al raid americano che ha ucciso uno dei più potenti generali dell’Iran, Qassem Suleimani, sui mercati è tornata una calma guardinga. Il prezzo del petrolio è sceso ben al di sotto del livello di guardia di 70 dollari al barile e le Borse europee hanno cercato di ritrovare l’ottimismo di fine 2019, scoraggiate solo nel finale dall’apertura debole di Wall Street. Le quotazioni dell’oro, restando ai massimi dal 2013 seppure in lieve discesa, dimostrano che la voglia di beni rifugio resta viva tra gli investitori nonostante la situazione sembri, per ora, sotto controllo. Passata la grande paura, ci sono almeno tre o quattro ragioni per cui gli indici dei mercati azionari non sono sprofondati e il prezzo del greggio ha cominciato ad arretrare e nessuna di queste ha a che fare con una sorta di “tifo” che, secondo qualcuno, gli investitori starebbero facendo per il presidente Donald Trump. Semmai, i motivi di un cauto ottimismo sono legati a previsioni e notizie macro valutate con maggiore freddezza rispetto alle ore immediatamente successive all’attacco americano.
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