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Essere previdenti

Giuliano Cazzola

Gli errori della cultura statalista alla base della catena di S. Antonio pensionistica ideata da Mucchetti

Al direttore - Ho letto il lungo articolo di Massimo Mucchetti e non solo non lo condivido, ma lo considero viziato da un errore di fondo: il sistema pensionistico obbligatorio (in Italia e in tanti altri paesi) è finanziato a ripartizione. Per chi si occupa di pensioni questa è una considerazione di carattere dirimente ed elementare.

 

Che cosa significa ‘’ripartizione’’? Di volta in volta, lo stock delle pensioni in vigore è finanziato, nel tempo, dai contributi dei lavoratori attivi (e dai trasferimenti pubblici di natura fiscale). In cambio, il sistema promette che, quando i contribuenti di oggi, diventeranno i pensionati di domani, a provvedere ai loro trattamenti penseranno le disponibilità provenienti dalle generazioni future. Ecco perché non ha senso la possibilità di versare, nel sistema contributivo pubblico, risorse aggiuntive oltre a quelle attinenti alla aliquota contributiva legale, allo scopo di ottenere a suo tempo una pensione più elevata, perché il sistema contributivo rimane a ripartizione (si parla infatti in proposito di capitalizzazione simulata).

 

I versamenti volontari, prefigurati da Mucchetti, determinerebbero certamente un più elevato montante contributivo sul quale calcolare la pensione. Ma quegli stessi maggiori contributi non finirebbero in una posizione individuale, fatta di risorse reali e gestita a capitalizzazione; sarebbero accreditati virtualmente , ma impiegati – al momento stesso del loro incasso – per pagare (e magari migliorare) i trattamenti in essere, mentre la pensione più elevata, domani, sarebbe finanziata dai contributi versati, appunto, dai lavoratori di domani. Il problema, allora, non è quello di assicurare – oggi e in modo virtuale – maggiori diritti pensionistici per quando verrà l’ora X, ma di operare affinché quei diritti siano effettivamente esigibili in base al quadro demografico, economico ed occupazionale di domani.

 

Nella cultura statalista dominante è presente una fiducia eccessiva nelle leggi, come se bastassero le norme a produrre le risorse che servono a pagare le pensioni. In realtà, l’equilibrio del patto intergenerazionale sotteso ai grandi sistemi pubblici dipende strettamente da parametri (crescita economica e dell’occupazione, andamenti demografici, eccetera) che le leggi non possono determinare, mentre ne sono radicalmente condizionate. In sostanza, grazie alla Catena di Sant’Antonio della ripartizione, con la proposta di Massimo Mucchetti finiremmo soltanto per chiedere alle nuove generazioni di sopportare un onere – che per loro sarebbe attuale – ancor più insostenibile, per quanto riguarda la copertura dei trattamenti riservati alle generazioni uscite dal mercato del lavoro. Così, il patto che lo stato impone tra le generazioni diventerebbe ancor più leonino per quelle future. La previdenza complementare è invece finanziata a capitalizzazione. Con la capitalizzazione, quindi, ognuno è padrone del proprio destino pensionistico: la sua prestazione complementare, al momento dell’uscita dal mercato del lavoro, sarà determinata dal montante accantonato, dai relativi rendimenti e dal trattamento fiscale. Nella ripartizione sono, dunque, altri (gli attivi) a sostenere l’onere della solidarietà; nella capitalizzazione ognuno provvede per sé, ma il suo risparmio previdenziale per lunghi decenni, (viaggiando sui mercati) è, in teoria, al servizio del bene collettivo (anche se è vero che la quota più importante del patrimonio dei fondi è composta di titoli pubblici). Il problema, allora, è quello di impostare, con equilibrio, un sistema misto, rivolto, quanto meno, a operare sia sul piano della finanza pubblica, sia su quello dei mercati finanziari. Una sinergia virtuosa, dunque. La quota pubblica della pensione, pur prevalente, riuscirebbe ad alleggerire il proprio impegno, in vista della crescente “crisi fiscale” degli stati e dei rivolgimenti nella struttura economica e sociale sottostante. Quella privata potrebbe contare su di un’ampia garanzia di base, utile nel momento in cui il residuo trattamento viene conseguito misurandosi con “gli spiriti animali” del mercato.

 

E’ molto più conveniente, anche ai fini della tutela dei lavoratori, fare affidamento su di una strategia che ripartisca il rischio-pensioni in parte sul sistema pubblico riformato e in parte su di una quota a capitalizzazione individuale, costituita di investimenti e rendimenti veri. Non su promesse a rischio di insostenibilità.

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