Pilastri previdenziali
Mucchetti sbaglia. I fondi pensione italiani sono tra i migliori al mondo e (dati Covip) rendono più del Tfr
L’articolo di Massimo Mucchetti, pubblicato sul Foglio dello scorso 8 gennaio, con cui sono in disaccordo dalla prima all’ultima riga, paradossalmente può essere l’avvio di una discussione sui fondi pensione a 25 anni dalla loro istituzione, per definire interventi volti a rendere ancora più efficace ed efficiente il sistema di previdenza complementare.
L’esperienza italiana dei fondi pensione è una delle migliori al mondo. Il nostro sistema che fa della trasparenza, della sicurezza e della libera concorrenza dei capisaldi imprescindibili è, infatti, studiato e preso ad esempio a livello globale. Ne sono prova sicuramente i rendimenti dei fondi pensione, in particolare quelli negoziali, che, contrariamente a quanto sostenuto da Mucchetti, hanno ottenuto buoni risultati. Infatti, se guardiamo ai dati Covip, i Fondi negoziali dal 1999 al 2018 (19 anni) hanno avuto annualmente un rendimento netto medio pari al 3,1 per cento, mentre il tfr lasciato in azienda nello stesso periodo ha reso il 2,5 per cento. Questo si traduce in una differenza di capitale maturato pari ad un più 18,4 per cento per chi ha scelto i fondi negoziali invece del tfr in azienda.
Rendimenti che sono stati ottenuti grazie ad una sana e prudente gestione anche in periodi in cui i mercati finanziari hanno subito forti oscillazioni. Se è vero che, oggi, il mercato presenta nuove sfide, con tassi di rendimento sui titoli obbligazionari molto contenuti, è altrettanto vero che i fondi hanno già riparametrato i propri investimenti senza esporre i propri iscritti a rischi. Non concordo con Mucchetti quando afferma che sarebbe stato un errore prevedere che dai fondi sarebbe arrivato un impulso all’economia reale del paese. Sono convinto che gli investitori istituzionali possano giocare un ruolo importante nel sostegno alle nostre imprese, ma se questo fino ad oggi è avvenuto solo parzialmente è per una carenza, sul mercato italiano, di prodotti finanziari che siano coerenti con le finalità previdenziali dei fondi stessi. Per tale ragione, nell’ultimo anno, è stato avviato da AssoFondiPensione, l’associazione dei fondi negoziali, e da Cdp un percorso che porterà a breve alla creazione di fondi di fondi che abbiano il preciso scopo di investire nella piccola e media impresa e nelle infrastrutture italiane.
Va ricordato, poi, l’importante ruolo della governance dei fondi pensione negoziali che ha saputo gestire ed amministrare con oculatezza il risparmio, senza incorrere in casi di mala gestio. Governance che non è, come afferma Mucchetti, controllata dai sindacati, ma ha una forte e strutturata natura democratica. Infatti, i rappresentanti dei fondi negoziali sono eletti dagli iscritti ai fondi. Ritengo, poi, profondamente sbagliata l’idea di creare un sistema che si ponga a metà tra il primo e secondo pilastro, creando una commistione di ruoli e concentrando il rischio tutto sul sistema pubblico. Soprattutto se la finalità di tale operazione è utilizzare le maggiori risorse per coprire poste di bilancio dello stato.
In ogni caso, sono ben consapevole che la strada è ancora lunga e che i buoni risultati ottenuti in questi 25 anni non devono essere un motivo per adagiarsi sugli allori. Ci sono molte cose su cui lavorare. La prima riguarda la razionalizzazione dell’offerta di Fondi così da raggiungere dimensioni tali da poter migliorare l’offerta attraverso maggiori economie di scala. In tal senso, le parti istitutive hanno dimostrato grande lungimiranza avviando percorsi che, come nel mondo della cooperazione, hanno portato, nel 2019, alla nascita di “Previdenza Cooperativa” un nuovo fondo che ha accorpato i tre fondi esistenti. La seconda attiene al tema della tassazione dei fondi pensione. Nel passato è stata elevata la tassazione dei rendimenti annuali dall’11 per cento al 20 per cento. L’investimento previdenziale è per sua natura e finalità differente da quello finanziario. Per questo ritengo che sia necessario ridurre questa tassazione. Ci vuole un modello di tassazione che preveda l’esenzione in fase di versamento, l’esenzione durante l’accumulo e la tassazione finale sulla prestazione. Questo sistema, definito Eet, è più in linea con le best practices europee e consente una più efficace tutela del risparmio previdenziale.
La terza è dare nuovo impulso alle adesioni, che devono comunque rimanere una libera e volontaria scelta dei lavoratori. Si possono però predisporre meccanismi contrattuali, che prevedano il versamento automatico di una quota da parte del datore di lavoro. Questo tipo di strumento contribuisce attivamente a far crescere la posizione previdenziale dei lavoratori, ed al contempo, può esser un utile volano per la nascita di una più diffusa cultura previdenziale nei cittadini. Parallelamente, è necessario il concreto impegno delle istituzioni a partire dal Governo, al quale, Uil, Cisl e Cgil hanno chiesto l’avvio di un semestre di adesione informata. Un periodo che coniughi lo strumento dell’adesione, tramite il meccanismo del silenzio assenso, a una adeguata campagna formativa ed informativa per tutti i lavoratori. Ricordo che nel 2007, attraverso questo semestre, un milione e mezzo di lavoratori ha aderito ai fondi pensione. Il sistema dei fondi pensione italiani è efficiente, libero, plurale e concorrente e sta dando buoni risultati garantendo la massima trasparenza, ma si può ancora migliorare. Per questo ritengo che sia giunto il momento per un confronto maturo che affronti tutti questi temi, tenendo ben presente che il fine principale della previdenza complementare è quello di dare ai lavoratori una futura pensione integrativa. La Uil porterà questa esigenza al tavolo di confronto tra governo e sindacati sui temi previdenziali.
Domenico Proietti è segretario confederale Uil