Populismo sindacale
Quota 102: così Cgil, Cisl e Uil portano a termine la crociata di Salvini contro la riforma Fornero
Matteo Salvini non deve preoccuparsi. Anche se non riuscisse a ritornare presto e "con pieni poteri’’ al governo del paese, la sua crociata contro la riforma del sistema pensionistico a firma del ministro Elsa Fornero, la continueranno, per procura, dei nuovi campioni: le confederazioni sindacali. Cgil, Cisl e Uil hanno reso noto, in termini generali, le proposte con cui andranno al confronto con il ministro Nunzia Catalfo e siederanno, con i loro rappresentati, ai tavoli tecnici che saranno convocati. I dirigenti sindacali sono persone competenti e sono in grado di usare questa loro prerogativa non a casaccio (come fece col dl n.4 del 2019 su reddito di cittadinanza e quota 100 il governo Conte I), ma per sfasciare la riforma in modo scientifico, senza porsi il problema di come finanziare un riordino assai più ‘’generoso’’ e irresponsabile di quello ereditato dalla passata legislatura e dal governo Gentiloni (d’intesa con i sindacati stessi).
L’aspetto più discutibile della piattaforma sindacale (una sorta di “mal francese”) sta nell’arroccarsi sulla riduzione dell’età pensionabile (a dispetto di scenari insostenibili in un futuro prossimo – li ha ricordati Luciano Capone sul Foglio di martedì 14 gennaio – per quanto riguarda l’intreccio perverso tra l’accelerazione dell’aspettativa di vita, l’invecchiamento della popolazione combinato con il crollo della natalità). La preoccupazione vera, al di là dei gargarismi sul futuro delle nuove generazioni, resta quella di tutelare i lavoratori (il maschile ha un significato specifico) che sono in attesa di andare in quiescenza e che, per la loro storia lavorativa, possono disporre di una anzianità contributiva lunga, stabile e continuativa. In sostanza, se queste proposte saranno accolte, la fuoriuscita dal periodo di sperimentabilità gialloverde (quota 100 fino a tutto il 2021 e blocco dei requisiti per il trattamento di anzianità a prescindere dall’età anagrafica – 42 anni e 10 mesi per gli uomini un anno in meno per le donne, fino a tutto il 2026) camminerà in retromarcia, per ritornare a prima della riforma del 2011. Per confermare che il populismo politico è parente (forse persino figlio illegittimo) di un cotè sindacale.
Secondo i sindacati, si andrebbe in pensione attraverso due canali distinti: a partire da almeno 62 anni di età con almeno 20 anni di contributi oppure facendo valere 41 anni di versamenti in assenza di qualunque requisito anagrafico. Rimarrebbe il sistema misto: le quote regolate dal sistema retributivo sarebbero calcolate, pro rata, secondo quel regime. Per quanti continuassero a lavorare oltre l’età di 62 anni opererebbe una scala crescente di coefficienti di trasformazione per assicurare un importo più elevato dell’assegno. L’adeguamento automatico all’incremento dell’attesa di vita (la cui introduzione risale, sia pure limitatamente al requisito anagrafico, all’ultimo governo Berlusconi) sarebbe abolito, salvo operare – stando alle dichiarazioni di alcuni esponenti sindacali – a livello dei coefficienti. Sembra di capire, in sostanza, che a fronte di un incremento dell’attesa di vita non si chiederebbe di andare in pensione più tardi, ma, in proporzione, sarebbe corretto al ribasso il moltiplicatore del montante contributivo, determinando così un assegno inferiore (alla faccia dell’adeguatezza).
E’ la solita storia: meglio andare in pensione, il più presto possibile, anche con un trattamento ridotto. Tanto prima o poi ci sarà una telecamera pronta a raccogliere e a diffondere acriticamente nei talk show, il grido di dolore di pensionati che percepiscono assegni troppo modesti. Se andrà avanti questa impostazione neo-trinariciuta saranno travolte anche le proposte di Alberto Brambilla secondo lo schema seguente: per scongiurare il rischio-scalone, alla fine del 2021, quando avrà termine quota 100, sarebbe necessario un pensionamento agevolato a 64 anni di età, con adeguamento alla speranza di vita e facendo valere 37/38 anni di contributi. Quindi: quota 101 o, più probabilmente, quota 102 con calcolo interamente “contributivo” (ciò che non vogliono i sindacati) come nel caso di “Opzione Donna”.