La diseguaglianza non è come dice Oxfam
L’uso distorto dei dati crea nuovi allarmi farlocchi. Come smontarli
“La diseguaglianza economica è fuori controllo. Nel 2019 i miliardari del mondo, appena 2.153 persone, possedevano più ricchezze di 4,6 miliardi di persone”. Si apre così il consueto rapporto che Oxfam presenta in concomitanza con il World Economic Forum di Davos. Anche quest’anno, tutto sembra andare male. Per capire quanto sia infondato l’approccio scandalistico di questa associazione che ogni anno conquista i titoli dei principali media del mondo come una specie di Codacons globale, basterebbe riprendere gli slogan delle edizioni passate: nel 2017 si denunciava che solo 8 miliardari possedevano la stessa ricchezza di mezzo mondo (3,6 miliardi di persone); nel 2018, per pareggiare la ricchezza della metà più povera, di miliardari ce ne volevano 42; l’anno scorso 26. Quest’anno circa 2 mila. Quindi, secondo lo standard di Oxfam, le cose dovrebbero essere nettamente migliorate. Nonostante il “sistema economico difettoso e sessista”, le distanze tra i fortunati e i più miseri sembrano essersi accorciate: la ricchezza in mano ai miliardari è scesa da 9,2 mila miliardi di dollari nel 2018 a 8,7 nel 2019 (-6 per cento). Questo dato non viene enfatizzato, al contrario di quanto fatto in passato di fronte a cambiamenti di segno opposto. Perché ogni anno Oxfam si sceglie gli indici che preferisce, per dipingere sempre la stessa realtà. Pertanto, bisogna dirla tutta: il rapporto è pensato per lanciare messaggi sconvolgenti su una dinamica delle divaricazioni sociali che, in realtà, è un fenomeno molto più sfaccettato e complesso di quanto appaia.
Intanto, ancora una volta Oxfam insiste nell’utilizzo di una metodologia che inizialmente poteva essere ritenuta disinvolta, ma ormai – dopo le sempre più intense e frequenti critiche (sul Foglio lo ripetiamo ogni anno) da parte di economisti che si occupano e seriamente del tema – va definita per quello che è, cioè scorretta. Sono principalmente due i limiti dell’analisi di Oxfam. In primo luogo, per stimare la ricchezza dei miliardari, usa la classifica di Forbes, che la esprime in dollari correnti, quindi senza tenere conto dei movimenti valutari né del potere d’acquisto nei diversi contesti nazionali.
Il secondo e fondamentale problema è che la ricchezza a livello globale è desunta dallo studio di Credit Suisse che, tuttavia, ne stima il valore netto: cioè tenendo conto sia degli attivi, sia dei passivi nel bilancio delle famiglie. Così, un rampollo della middle class americana che ha fatto un mutuo per studiare a Harvard appare più povero di un suo coetaneo contadino nel Laos che, pur non avendo nulla, non ha neppure debiti. Per esempio, in Europa il 38,2 per cento della popolazione avrebbe una ricchezza netta inferiore a 10 mila dollari: molto più che in Cina (dove sono il 24,6 per cento!). L’ultimo decile della distribuzione globale della ricchezza, quello più povero, dove ci sarebbe addirittura una ricchezza negativa, è composto quasi per il 20 per cento da cittadini nordamericani ed europei: una quota analoga a quella di africani (22 per cento), Asia e Pacifico (20), indiani (22) e latino-americani (19 per cento); non c’è però nessun cinese (0 per cento). La scelta di confrontare mele con pere – i dati Forbes con quelli Credit Suisse – e trattare entrambe come se fossero arance, conduce così a esiti paradossali.
Non c’è dubbio che la diseguaglianza sia un importante problema, proprio per questo motivo andrebbe trattato seriamente (considerando anche reddito e consumi) e non alla carlona come fa Oxfam. Fortunatamente, a livello globale, la diseguaglianza non sembra crescere né tanto meno appare fuori controllo, anzi. Lo mostra sempre il rapporto Credit Suisse – cioè la fonte usata da Oxfam per le sue elaborazioni– secondo cui l’indice di Gini sulla diseguaglianza della ricchezza, a livello globale, è in continuo calo: la quota di ricchezza in mano al top 10 per cento e al top 5 per cento è in riduzione sostanziale da almeno vent’anni. Anche per quanto riguarda il top 1 per cento, la quota di ricchezza netta posseduta è in leggera flessione dal 2000.
Al contrario, la maggior parte della popolazione ha migliorato la sua posizione relativa, visto che la fetta della torta in mano al 90 per cento più povero (o meno ricco) della popolazione mondiale è quasi raddoppiata: dal 10 per cento nel 2000 al 18,3 per cento nel 2019. Coerentemente, “la conclusione da trarre è che la diseguaglianza globale della ricchezza si è generalmente ridotta negli ultimi due decenni”, scrive Credit Suisse. Insomma: Oxfam usa una metodologia discutibile per lanciare un allarme che la sua stessa fonte nega. Questo non significa che povertà e diseguaglianze non siano questioni drammatiche – lo sono eccome. Ma se grazie alla globalizzazione e al capitalismo le cose sono migliorate, dovremmo interrogarci su come progredire ulteriormente rispetto ai trend in atto, anziché rottamarli negandone i risultati. Il risultato più eclatante di questi decenni – e forse della storia – è che la povertà globale si è ridotta drasticamente e con essa anche la diseguaglianza mondiale dei redditi e della ricchezza: e tutto questo mentre la popolazione mondiale cresceva, soprattutto nei paesi più poveri.
La sezione italiana di Oxfam dedica anche uno speciale alla diseguaglianza nel nostro paese. Per cominciare, si vede che anche in Italia da alcuni anni la quota della ricchezza del top 10 per cento è in continua riduzione: dal picco del 56 per cento nel 2016 siamo scesi al 53,6 per cento nel 2019. Oltretutto, si è perfino ridotto il numero di milionari, sceso da 1.516 mila del 2018 a 1.496 mila del 2019: forse una buona notizia per Oxfam, ma un pessimo segnale per chiunque abbia l’accortezza di rintracciarvi l’ennesimo indizio di un’economia stagnante. Ciò nonostante, i dati italiani sono tutt’altro che preoccupanti, almeno sotto il profilo delle disparità patrimoniali: sempre dallo studio Credit Suisse, la fonte di Oxfam, si desume che l’indice di Gini per la ricchezza è pari al 66,9 per cento, inferiore non solo a Germania (81,6 per cento) e Regno Unito (74,6 per cento), ma anche ai mitizzati paesi scandinavi: in Danimarca è dell’83,8 per cento, in Finlandia 74,2 per cento, in Svezia 86,7 per cento. L’operazione di Oxfam è un grande successo mediatico da diversi anni, proprio perché si basa su un uso distorto dei dati e sulla diffusione di messaggi allarmistici o fuorvianti che creano l’impressione di un’emergenza e alimentano le paure. Un meccanismo efficace e ben noto ai leader populisti, ma che serve più a speculare sui problemi che a risolverli.