Farmacopea vitale
Carlotta Di Martino “sgomitava per stare in seconda fila” poi s’è scoperta manager, leader. Forte
Una cosa mi ha fatto tremare dentro, quando ho incontrato Carlotta Di Martino, una delle donne forti e segrete dell’industria italiana – quella farmaceutica nel suo caso, grazie all’Abiogen Pharma, azienda di Pisa fondata nel 1997, leader nel mondo nelle aree terapeutiche del metabolismo osseo, guidata da suo marito ma in tanti aspetti animata dalla volontà di ferro e dal tocco visionario di Carlotta. Quella cosa è una confessione impalpabile e tralasciata nel dialogo con dolore discreto. “Ho perso mia mamma da piccola”, ha detto Di Martino. Anch’io ho perso mia mamma da piccolo, anche se a un’età più avanzata di lei, e se esiste un club fatto di sonde nascoste e impenetrabili a tutti gli altri, se esiste una confraternita o sorellanza al mondo, è quella degli orfani di mamma.
Carlotta Di Martino è una delle figure carismatiche segrete della scena imprenditoriale italiana, ma è anche una donna capace di saltare a piè pari gli ostacoli dell’ipocrisia che costellano le conversazioni con le persone di successo economico o sociale. “Sono stata fortunata, prima di tutto, perché ho potuto permettermi di vivere tante vite e di uscire da una ed entrare nell’altra quando sentivo che il processo di maturazione era giunto al termine”, mi dice nell’ufficio di presidenza dell’azienda di famiglia. ‘‘Ho avuto la possibilità di fare la mamma fino a quando a mio giudizio i figli erano in grado di camminare sulle proprie gambe, dopodiché sono tornata a lavorare e non ho più smesso, ormai vivo qui e questi uffici sono diventati un’estensione della mia casa”.
La Di Martino – che certi pubblicitari un po’ vecchio stile temono perché mette voce e pensiero nelle scelte spesso un po’ stantie di tanti ottimi professionisti del settore – ha dato anima e corpo per risollevare la società di famiglia (“C’è tanto di mio marito, qui dentro, tantissimo, e anche tanto dei nostri figli, che presto prenderanno a vestire tutti i cappelli che indosso io, lavorativamente parlando, perché andrò in pensione’’, ma non le crede davvero nessuno…) dalla crisi quasi ferale che aveva messo in catene il settore e in particolare Abiogen subito dopo il crack di Lehman Brothers, nel 2008. Se c’è una cosa che vale sempre la pena di farsi raccontare dai veri capitani o capitane d’industria non sono le vette o i picchi gloriosi ma la dura salace astringente sensazione di limone in bocca che può darti una congiuntura negativa, lo spettro di dover mollare, e la netta volontà di far di tutto per risalire la china. “Non parlo volentieri di quel periodo”, sussurra quasi con un calo momentaneo di energia vocale, “abbiamo dovuto prendere decisioni che…”, e in questi casi i muscoli del viso e lo sguardo trasmettono la differenza tra chi ha capito cos’è la responsabilità sociale d’impresa e chi non lo capirà mai. “All’inizio mi sono occupata di rifondare la comunicazione istituzionale, il logo, le confezioni dei farmaci, poi mi hanno chiesto di fare il vicepresidente, e l’ho fatto, poi di sostituire mio marito che in quel periodo era in America su tanti altri settori, e l’ho fatto, anche se poi le scelte difficili le prende sempre lui che è e rimane amministratore delegato”. E lei cosa fa, viene da chiederle. “Io… do la mia opinione”, e con la bocca arricciata fa comprendere che questa opinione non passa come l’aria fresca. Viene da domandarle quanto nello stile di comando al femminile di Carlotta Di Martino (in un settore ancora molto maschile come il farmaceutico) venga dall’antico trauma della perdita della madre. “Tutto. Per molti anni ho fatto con mio marito quello che ricordavo aveva fatto sempre mia madre per mio padre: sistemavo le camice e le cravatte per i viaggi d’affari, con un puntiglio quasi ossessivo. Era un modo di ricordarla nel fare. Poi, a un certo punto… ho semplicemente smesso. Ho detto basta”. E cosa è successo nel vostro pezzo di mondo a quel punto ? “Niente, ho continuato a mettere tutto all’aria e poi in ordine, come facevo con gli abiti di mio marito. Ma in azienda”.
Pare che durante una delle prime riunioni in cui questa ironica lady di ferro si è seduta al pari di dirigenti e collaboratori, uno sventurato abbia risposto alla domanda “questa cosa entro quando va fatta?” “con l’acronimo “Asap” (as soon as possible, cioè praticamente ora). “Quella persona, che oggi non lavora più qui, ha rischiato davvero grosso. Una degli aspetti che non sopporto della vita aziendale di oggi è l’abbondanza di acronimi, o espressioni assurde che nessuno userebbe nella vita reale”, commenta con l’aria giocosamente perfida.
Una delle caratteristiche cruciali di Abiogen Pharma è il rapporto affettivo e millimetrico con tutte le centinaia di dipendenti e i collaboratori esterni dell’azienda, un’attitudine quasi novecentesca, da sistema integrato welfare-produzione, che sembrerebbe poco adatto a un’area marchiata a fuoco da una competizione ipercinetica e dalla compulsione a innovare. “Eppure funziona, ed è forse una delle cose di cui vado più fiera, uno degli aspetti che rende speciale questo rapporto di costruzione collettiva”, chiosa la Di Martino, che confessa di non amare molto i riti sociali usualmente associati alla sua condizione. “Per anni sono stata letteralmente invisibile. A volte colleghi e clienti di mio marito si domandavano se non fossi un ologramma, se esistevo davvero. Sgomitavo per stare in seconda fila. Poi è scattato qualcosa, e le cose sono cambiate, ed eccomi qui. Ma dentro sono in fondo ancora una che sgomita per stare in seconda fila”.