Roma. Se fosse un caso sanitario, la storia potrebbe essere riassunta in questo modo: i medici dicono che non c’è nulla da fare, che il quadro clinico indica uno stato degenerativo della patologia in presenza di sofferenze atroci e senza alcuna possibilità di guarigione, e per questo suggeriscono una forma di eutanasia; il paziente, in forma scritta e orale e nel pieno delle sue capacità cognitive, chiede di porre fine alle sofferenze proprie e dei suoi cari; i genitori se ne disinteressano, non prendono iniziative né si prendono cura del figlio malato, facendo così proseguire l’accanimento terapeutico. Invece si tratta di un caso previdenziale, cosa che comporta il vantaggio di non dover affrontare dilemmi bioetici sulla scelta di farla finita o meno.
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