Lavoratori illusi, mercato congelato, piani rinviati, ministri furbacchioni. Dove nasce il disastro dello stabilimento napoletano
Torino. A volare doveva essere il rilancio di Whirlpool, invece il 29 gennaio sono stati spintoni, urla e l’esasperazione dei lavoratori a dare la sveglia a sindacati e politica. Forse i 420 addetti riuniti sotto il Mise si aspettavano un esito diverso delle trattative in corso, specie dopo mesi di dichiarazioni roboanti e soluzioni sbandierate prima da Luigi Di Maio e poi da Giuseppe Conte per impedire alla multinazionale americana degli elettrodomestici di abbandonare la Campania e licenziare le maestranze. E invece è stato il segretario Fim Cisl Marco Bentivogli a dover dare la notizia, prendendosi gli insulti. La Whirlpool a Napoli chiude – la produzione, spiega l’azienda, non è sostenibile e le perdite dello stabilimento sono nell’ordine dei 20 milioni di euro l’anno – ma lo farà il 31 ottobre anziché il 31 marzo. Una manciata di mesi di operatività in più è infatti ciò che l’Italia è riuscita a ottenere dopo un anno di tira e molla. Il governo però conta di trovare entro luglio un nuovo investitore e rielaborare un piano b.
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