Alitalia e Air Italy: nel mercato c'è qualcuno più uguale degli altri
La compagnia sarda aveva i suoi problemi industriali, ma se la politica sussidia un concorrente il fallimento diventa inevitabile
La compagnia aerea Air Italy chiude. Dal 25 febbraio non opererà più voli e la liquidazione del vettore sardo avrà sicuramente un impatto per molti viaggiatori. La politica si è accorta con notevole ritardo che qualcosa non andava e ora ci si domanda perché le compagnie italiane continuino ad avere problemi, senza accorgersi che proprio il continuo assistenzialismo ha creato dei meccanismi perversi. E i sindacati, troppo spesso, pensano di vivere in un mondo parallelo: è stato il caso del fondo volo che è finanziato da tutti i passeggeri e che permette di avere una cassa integrazione speciale all’80 per cento dello stipendio per 7 anni. Qualcosa di mai visto.
Nel frattempo alcuni operatori, in particolare Ryanair ed Easyjet, si preparano a sostituire su alcune rotte Air Italy. È abbastanza certo che invece le compagnie low cost non comprino un vettore che perdeva 200 milioni di euro l’anno. Ma quali erano gli obiettivi e i progetti del vettore?
L’hub di Malpensa era affiancato dalla storica presenza di Olbia e al tempo stesso ci sarebbe dovuto essere l’acquisto di 50 aerei, di cui 30 a lungo raggio (con il moderno Boeing 787 Dreamliner). Tutto questo avrebbe portato a una crescita fino 10 milioni di passeggeri nel giro di pochi anni. Cos’è stato di tutti questi grandi piani?
In primo luogo i piani di sviluppo erano poco credibili, con una grande flotta a lungo raggio supportata da un corto raggio relativamente limitato che doveva alimentare l’hub di Malpensa. Tutto ciò con una strategia stand alone che non prevedeva grandi alleanze (se non code sharing con qualche partner). Il risultato è stato che nel corso degli anni i passeggeri e i ricavi andavano assottigliandosi, le perdite sono andate appesantendosi, fino ai quasi 200 milioni di euro dell’ultimo anno, dai 57 milioni del 2017, e nel giro di due anni la compagnia è stata liquidata. Il 2018, ultimo bilancio disponibile, ha mostrato un buco di 164 milioni su 284 milioni di fatturato.
Vi sono dunque stati indubbi errori industriali a cui si sommano almeno altri tre elementi che il management non è riuscito a tenere in considerazione. In primo luogo la concorrenza nel corto raggio, specialmente da parte delle compagnie low cost: il mercato italiano è molto competitivo e non è facile restarci di fronte alla capacità di ridurre i costi di compagnie che, in confronto ad Air Italy, sono dei giganti. Ryanair e Easyjet, numero uno e numero tre nel mercato italiano, trasportano circa 75 e 50 volte il numero di passeggeri della compagnia sarda.
Air Italy inoltre ha deciso di aprire diverse rotte a lungo raggio. In questo mercato, mentre Alitalia rimane relativamente debole, si è dovuta scontrare anche con compagnie internazionali che fanno profitti miliardari. Di fatto Air Italy era una piccola compagnia, senza una rete di vendita adeguata all’estero, che non è mai riuscita ad avere il riempimento adeguato degli aerei, pur avendo prezzi dei biglietti molto bassi. Un ultimo ulteriore punto riguarda la politica italiana.
Air Italy si è dovuta scontrare con un player di mercato che ha ottenuto finanziamenti direttamente dallo stato e molto probabilmente illegalmente: vale a dire Alitalia (la Commissione europea sta valutando da due anni se il primo prestito ponte sia stato o meno un aiuto di stato). La politica ha quindi dato prestiti ponte a perdere (perché non verranno mai restituiti) per 1,5 miliardi di euro ad Alitalia contro cui Air Italy si è trovata a competere nello stesso mercato, anche quello sardo.
A furia di sussidiare compagnie in perdita, si fanno fuori gli altri operatori nel mercato. Sicuramente Air Italy aveva un modello di business che non stava in piedi, dato che la maggior parte delle compagnie aeree ha dei margini positivi, ma la politica ha la sua responsabilità nell’aver falsato la concorrenza. E questi sono i risultati quando sul mercato c’è qualcuno che è più uguale di altri.
tra debito e crescita