(foto LaPresse)

Epilogo Alitalia

Carlo Stagnaro

Patuanelli incontra la Vestager. Ma come può l’Antitrust europea far finta di nulla sugli aiuti di stato?

Sono giorni decisivi per Alitalia. Ieri il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha incontrato la commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, con cui ha discusso delle indagini avviate nell’aprile 2018. Se fosse accertata l’incompatibilità degli aiuti, la Commissione potrebbe chiedere all’Italia di recuperare parzialmente o integralmente il prestito ponte (fino a un controvalore complessivo di 1,3 miliardi di euro più gli interessi), sancendo di fatto il fallimento del vettore. Tecnicamente, ogni tranche del prestito va vista come una storia a sé. Inoltre, la Commissione deve ancora aprire un fascicolo sui 400 milioni appena concessi, ma è probabile che i diversi filoni finiranno per convergere. Secondo voci vicine al dossier, l’Italia potrebbe farla franca sui primi 900 milioni; altri ritengono che, invece, non ci sia scampo, in quanto le modalità e le condizioni del finanziamento non rientrano in alcun modo tra le eccezioni ammesse. Di certo, la decisione è particolarmente importante, non solo per i suoi effetti diretti, ma anche perché molti vi cercheranno un segnale riguardo all’atteggiamento dell’Ue sulla disciplina degli aiuti di stato: rigorosa come in passato oppure più lasca, assecondando le richieste di diversi stati membri (tra cui l’Italia)?

 

L’indagine è particolarmente complicata, non solo per la sua ovvia rilevanza politica, ma anche perché riguarda diversi provvedimenti indipendenti gli uni dagli altri, almeno sotto il profilo formale. Il prestito si articola in tre quote: 600 milioni a maggio 2017, 300 a ottobre dello stesso anno e altri 400 a gennaio 2020. Nel frattempo, le scadenze per la restituzione sono state allungate (rispetto ai sei mesi iniziali). Inoltre, per proteggere l’erario dal rischio molto concreto di mancato rimborso, nel 2019 il decreto Crescita ha indicato come garanzia il gettito tariffario delle bollette elettriche. In pratica, ogni volta che accendono la luce gli italiani versano un obolo ad Alitalia. I primi due finanziamenti sono stati notificati come aiuti per il salvataggio dell’azienda; il terzo non è stato neppure notificato.

 

Nel merito, comunque, ci sono pochi dubbi. Il prestito ponte sarebbe compatibile con la disciplina degli aiuti di stato se si potesse dimostrare che è stato concesso a condizioni di mercato. Tuttavia, è la sua stessa storia a contenere le prove della sua illegittimità. Intanto, il governo sostiene di essere sceso in campo a causa dell’emergenza in cui si trovava Alitalia, ma – a distanza di tre anni – risulta poco credibile. Se in tutto questo tempo la compagnia non ha trovato n finanziatori né acquirenti, è semplicemente perché “non c’è soluzione di mercato a portata di mano” (come ha ammesso il premier, Giuseppe Conte, lo scorso novembre). Lo confermano anche, da un lato, l’assenza di un piano di rilancio; dall’altro l’indisponibilità di altri vettori ad acquisire Alitalia (nonostante le trattative con Lufthansa, Ryanair, Easyjet, Delta); dall’altro ancora l’impossibilità di chiamare in causa imprese pubbliche come le Ferrovie (cosa che, peraltro, avrebbe essa stessa potuto integrare un aiuto incompatibile). Oltre tutto, i denari del prestito avrebbero dovuto essere impiegati per la continuità del servizio: invece, come ha rilevato l’eurodeputata romena Carmen Avram in un’interrogazione sul tema, sembra siano stati usati, tra l’altro, per l’acquisto di uniformi per il personale di bordo, la realizzazione di una nuova lounge a Fiumicino, il leasing di aeronavi (a prezzi fuori mercato), i rinnovi contrattuali per i manager, l’acquisto di ulteriori slot a Londra e addirittura degli sfiziosi kit di Salvatore Ferragamo per i viaggiatori business.

 

Sarebbe davvero stupefacente se, di fronte a tanta e clamorosa evidenza, la Commissione decidesse di soprassedere, anche solo in parte. Neppure risolverebbe il problema Alitalia: anche ammesso di prendere per buona la tesi difensiva sui primi 900 milioni, sui restanti 400 non c’è santo che tenga. Inoltre, già le lungaggini dell’indagine rappresentano una forma di condiscendenza implicita, non priva di conseguenze: per esempio, non sappiamo come sarebbe andata la vicenda Air Italy, se non ci fosse stato l’elefante Alitalia nella stanza. Vale davvero la pena di indebolire la credibilità delle regole europee e perpetuare distorsioni concorrenziali in Italia? Per ottenere cosa, poi? Tra il 1989 e il 2019, Alitalia ha chiuso in rosso ventotto esercizi su trenta. Attualmente perde qualcosa come 600 milioni all’anno, che si aggiungono ai quasi 10 miliardi di aiuti bruciati nel decennio trascorso. Lo stesso Patuanelli, sulla Stampa di ieri, si è esibito in una professione di fede: “Ho nominato il nuovo commissario che ha selezionato per la governance professionisti che hanno il polso della situazione e che troveranno la soluzione migliore per farla stare sul mercato”. Purtroppo, non basta un commissario: ci vorrebbe un esorcista.