Intesa-Ubi è l'inizio di una trasformazione. Parla Caselli (Bocconi)
La domanda sotto traccia della possibile fusione tra i due gruppi bancari è: cosa succede se tutte le banche si mettono a gestire il risparmio invece di erogare prestiti alle imprese?
Milano. C’è una domanda che circola sotto traccia da quando Intesa Sanpaolo ha proposto a Ubi di unirsi in matrimonio per dar vita a un gruppo bancario focalizzato sul “wealth management”, come è specificato nel comunicato che annuncia l’operazione: che cosa succede se tutte le banche si mettono a gestire il risparmio invece di erogare prestiti alle imprese? Ovviamente, si tratta di un’estremizzazione perché il gruppo Intesa continuerebbe a finanziare l’economia reale anche se dovesse fondersi con Ubi, ma il tema di un nuovo indirizzo strategico che sta emergendo nel mondo bancario è reale ed è l’effetto di un insieme di regole europee che, da un lato, sta spingendo le banche a cercare nuovi settori di business e, dall’altro, vuole stimolare le imprese a rivolgersi di più al mercato e meno agli istituti di credito per finanziarsi. “Le riforme di Basilea hanno impostato un processo di trasformazione del settore bancario, di cui si cominciano a vedere i primi risultati – dice al Foglio Stefano Caselli, pro-rettore dell’Università Bocconi ed esperto di mercati finanziari –. E’ un disegno politico europeo che in Italia facciamo fatica a comprendere, ma che, invece, dovrebbe essere incoraggiato anche dal governo perché aiuta la crescita economica. L’operazione proposta da Intesa Sanpaolo a Ubi va esattamente nella direzione indicata dai regolatori e può diventare un esempio da seguire in tutta Europa”.
Per comprendere fino in fondo questa trasformazione bisogna fare un passo indietro. Le banche guadagnano sempre meno con i finanziamenti alle imprese in un contesto di tassi ufficiali a zero o addirittura negativi. In più, la vigilanza europea impone loro di applicare criteri molto restrittivi nell’erogazione di prestiti, attività che assorbe capitali per affrontare i rischi connessi. “Così, la gestione del risparmio diventa per le banche, soprattutto in un paese come l’Italia che ha la ricchezza privata tra le più alte nel mondo, un modo per aumentare la base dei ricavi e continuare a fare profitti contenendo i rischi in bilancio – continua Caselli –. Spostare il focus del modello di business su questo settore è, quindi, corretto ed è quello che sempre di più avverrà nel sistema bancario italiano”. Da tempo si parla di tramonto della banca commerciale, ma in Italia resta il modello prevalente e solo fusioni e aggregazioni potranno liberare risorse da destinare alla transizione fintech. Ma se il risultato finale sarà una minore propensione a erogare credito, dove prenderanno le aziende i soldi per gli investimenti produttivi?
Gli ultimi dati raccontano che nel 2019 c’è stato un crollo della domanda di finanziamenti alle banche: -3,4 per cento rispetto al 2018. La dinamica è stata negativa soprattutto nell’ultima parte dell’anno per effetto del deterioramento del quadro economico. Se in prospettiva le banche daranno priorità ad altri business, l’economia rischia di andare sempre peggio. Non è così? “I regolatori europei hanno in mente due cose: aumentare la stabilità finanziaria del sistema e ridurre la dipendenza delle imprese dalle banche che devono cercare fonti alternative. Emissione di prestiti obbligazionari, quotazioni in Borsa, accordi con fondi di private equity: le strade possibili sono diverse. E dirò di più: il mercato non sta aspettando altro. Esiste una certa domanda di risparmio disponibile a sostenere la crescita del tessuto produttivo, come hanno dimostrato i Pir, i piani individuali di risparmio introdotti nel 2017”. In quegli anni, secondo Caselli, il governo ha dimostrato di comprendere che Borsa e mercato dei capitali rappresentano strumenti di politica economica a costo zero. “Ora mi pare che manchi quel tipo di slancio. Eppure, incentivare le imprese a quotarsi, per esempio, vuol dire automaticamente favorire la crescita economica ottenendo in cambio maggiore gettito fiscale. Abbiamo una Borsa che, seppure di non grandi dimensioni, funziona bene come dimostra il fatto che è molto appetibile a livello internazionale. Usiamola di più”.