“Non c'è ragione a favore degli aiuti di stato ad Alitalia”. Parla Motta
L'ex capo economista della direzione della Concorrenza della Commissione europea spiega perché un ulteriore prestito alla compagnia aerea sarebbe un insuccesso per il contribuente
Milano. “Io non capisco, sono perplesso, non capisco davvero”, ripete come davanti a un enigma Massimo Motta, professore all’Università Pompeu Fabra di Barcellona, ex capo economista della direzione della Concorrenza della Commissione europea e tra i massimi esperti di politiche Antitrust, materia per cui è consulente di diverse autorità di regolazione. L’enigma in questione è Alitalia e la sua eterna difesa da parte della classe politica italiana: “Perché dopo tantissimi anni che perde tantissimi soldi, (due milioni al giorno, Patuanelli dixit, ndr) a prescindere dai partiti che sono al governo, i cittadini devono pagare per una impresa così quando ce ne sono altre che fornirebbero un servizio migliore?”. A oggi il governo è pronto a creare una Newco per poi rimettere sul mercato quel che resta della compagnia di bandiera: per evitare che la Commissione europea consideri la nuova società beneficiaria dei “prestiti” statali ricevuti finora (1,3 miliardi in totale i più recenti, di cui 400 milioni nemmeno notificati), si deve dimostrare una supposta discontinuità aziendale, tanto che già circola l’idea di far ricadere la bolletta degli aiuti su una bad company e quindi sempre sui contribuenti. Se così non fosse la nuova società partirebbe già con il fardello del rimborso che peserebbe sul negoziato per un futuro accordo di acquisizione. Comunque vada, dunque, dal punto di vista del contribuente, sarà un insuccesso.
Secondo Motta non c’è alcuna razionalità nell’intervento pubblico: “Cosa succederebbe se Alitalia dovesse fallire? I cittadini non ci dovrebbero mettere i soldi. Lo spazio lasciato sarebbe riempito da altre aerolinee più efficienti. Non capisco perché dovremmo essere più contenti altrimenti. Forse i politici cercano di vendere agli italiani questo concetto di italianità? Perché non posso nemmeno pensare che sia una questione di salvare i posti di lavoro. Quello aereo non è un mercato che sparirebbe, ci sarebbero altre imprese pronte a contattare il personale di servizio disposto a lavorare in Italia”. La protezione delle imprese inefficienti ha un costo doppio, ragiona Motta, in primis perché i contribuenti pagano gli aiuti e anche per gli effetti di un mercato distorto. Al contrario l’eliminazione di privilegi e distorsioni porta benefici multipli ai cittadini, come consumatori, come lavoratori e come contribuenti. Non si capisce, del resto, perché gli interessi degli italiani debbano coincidere con quelli dei loro governi o di alcune particolari imprese. Per questo secondo il professore, che ha pure lanciato una lettera pubblica firmata da decine di economisti, la Commissione dovrebbe essere molto più severa, sia sulle fusioni che rischiano di portare ai consumatori servizi più costosi e di minore qualità sia sugli aiuti di stato, il dossier più legato agli interessi politici.
“L’intervento dello stato deve esserci dove ce ne è bisogno”, argomenta l’ex chief economist, “nella sanità è giusto che ci sia, nell’educazione anche o nel caso di certi gruppi di consumatori che non sarebbero raggiunti da certi servizi. Ma se gli aiuti di stato non sono giustificati, come in questo caso, è evidente che si sta aiutando un’entità particolare per ragioni oscure”. Alla ricerca di dare una risposta al rebus che gli si ripresenta davanti Motta prova anche un paragone: “In alcuni casi è anche comprensibile che ci sia meno rigidità, per esempio nel caso di produzioni diventate inefficienti, penso al carbone in Polonia o alle costruzioni navali, che sono molto concentrate localmente e impiegano migliaia di persone, allora ha senso agevolare una transizione per evitare tensioni sociali”. Ma Alitalia non ha niente a che fare con tutto questo. E una risposta all’enigma Motta ancora non riesce a trovarla: “Forse siamo noi che non riusciamo a spiegare, io davvero trovo incomprensibile voler insistere sulla necessità di una compagnia di bandiera. Qui a Barcellona abbiamo avuto l’esempio della Spanair, che è stata aiutata dalla Generalitat di Catalogna. Si continuava a dire che era importante, ma dopo vari tentativi per tenerla in piedi è fallita: quelle linee ora sono servite da altri, Vueling, Easyjet, Ryan Air, le rotte si sono moltiplicate e, tolto un elemento di distorsione del mercato, i barcellonesi e i catalani ci hanno guadagnato”. “Se ha delle idee su Alitalia”, si arrende alla fine, “mi dica ... perché faccio fatica a capire perché dobbiamo pagare con le imposte. Anzi, io no perché da anni risiedo in Spagna”. Enigma risolto, allora, almeno per lui.