Massimo salario minimo
La proposta Catalfo (9 euro l’ora) indica la soglia più alta d’Europa in rapporto al salario mediano. Un disastro, soprattutto per il Sud
Roma. Uno dei temi sul tavolo del governo è il salario minimo. E, anche qui, nonostante le non esaltanti performance di quota 100 e del reddito di cittadinanza, a essere prevalente è sempre l’impostazione del M5s, che controlla tutta la filiera istituzionale sul lavoro. La terza bandierina grillina è la proposta del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo: 9 euro lordi l’ora come soglia minima universale. La motivazione, ripetono i grillini e i promotori della proposta, è che i salari sono troppo bassi e l’Italia è l’unico paese in Europa a non avere un salario minimo. La seconda affermazione non è vera, in quanto a non avere un salario minimo orario legale ci sono anche Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. In generale si tratta di paesi dove il salario minimo è stabilito da una contrattazione collettiva molto forte che arriva a coprire dall’80 al 90 per cento dei lavoratori. Per quanto riguarda la prima affermazione, bisogna invece vedere se lo strumento può essere efficace a far salire i salari bassi, quelli dei working poor. Ci sono alcune evidenze che mostrano possibili effetti positivi (aumento delle paghe e pungolo per le imprese a cercare aumenti di produttività), ma ce ne sono altrettante che indicano conseguenze negative che possono portare alla distruzione di posti di lavoro o verso il sommerso (soprattutto nel lavoro meno qualificato e nei territori più poveri). Tanto, o tutto, dipende dal livello a cui viene fissato il limite: se è troppo basso è inutile, se invece è troppo alto è dannoso.
Fatta questa premessa, la soglia di 9 euro lordi orari indicata dalla Catalfo è alta o bassa? Secondo i sostenitori è bassa, perché in molti stati europei è più elevata: 12 euro in Lussemburgo; 10 euro in Francia; 9,9 euro in Olanda; 9,6 euro in Belgio; 9,2 euro in Germania. “9 euro è meno che in Germania”, dicono. Ma non è così. Perché il valore non va considerato in valore assoluto rispetto agli altri, bensì in rapporto alla produttività della propria economia. Per questo per fare i confront si usa come parametro il salario mediano – cioè il valore intermedio della distribuzione dei salari nazionali. Ebbene, basta guardare i dati Eurostat o quelli dell’Ocse per rendersi conto che per l’Italia 9 euro l’ora sono a un livello altissimo. Innanzitutto, c’è da precisare che già adesso, come si vede dal report preparato dalla Commissione europea sul tema, il salario minimo italiano garantito dalla contrattazione collettiva è circa l’80 per cento del salario mediano: il valore più elevato di tutta l’Ue, più alto persino della Danimarca (che è molto vicino) e dai 20 ai 40 punti superiore a tutti gli altri paesi.
Questi minimi collettivi centralizzati di certo non hanno fatto salire tutti i salari allo stesso modo, come il M5s immagina, anzi hanno portato a vari espedienti, come ad esempio contratti pirata, per aggirarli, proprio perché per molte realtà – particolarmente al sud – i costi sono insostenibili. Detto questo, il salario minimo orario da 9 euro che tutelerebbe anche i lavoratori non coperti da contrattazione collettiva, sarebbe pari all’80 per cento del salario mediano: il più alto di tutta l’area Ocse (superiore al 71 per cento della Turchia). Negli altri paesi europei è tra il 40 e il 60 per cento: 46 in Germania, 47 in Olanda, 54 in Lussemburgo, 62 in Francia. Per l’Italia c’è poi un ulteriore problema, cioè l’ampio divario territoriale tra nord e sud: è come se nella nostra economia convivessero la Baviera e la Grecia. Pertanto un salario minimo così alto sarebbe particolarmente distruttivo per il Mezzogiorno, dove in alcune aree supererebbe il 100 per cento del salario mediano.
Il salario minimo può essere molto utile per i lavoratori scoperti da tutele, ma per essere efficace dovrebbe essere molto più basso dei 9 euro orari e legato, come pure suggerisce il Fmi, a una contrattazione decentrata. Ma la politica vuole un salario alto da sbandierare davanti agli elettori, e i sindacati e Confindustria vogliono difendere la contrattazione collettiva nazionale. Due paletti che rendono l’introduzione del salario minimo impossibile se va bene, dannosa se va male.