Cassandravirus
Per Nouriel Roubini il peggio deve venire. Guido Brera parla di una “Chernobyl della globalizzazione”
Milano. Non dubitate: il peggio deve ancora venire. Parola di Nouriel Roubini, il mai dimenticato Dr. Doom che tra i primi segnalò l’arrivo della tempesta dei subprime, ricavandone fama ma anche la reputazione di una Cassandra. Un po’ compiaciuta, per giunta, dai brividi di paura ispirati dalle sue esibizioni pubbliche dai lauti compensi. Oggi l’economista della Stern University cresciuto in Bocconi è tornato alla ribalta. “Fino a pochi giorni fa– ha scritto sul Financial Times – le reazioni del mercato sono state modeste, così deboli da non disturbare la corsa delle Borse verso nuovi massimi. Un atteggiamento perlomeno miope”.
Le certezze dei mercati, aggiunge, si sono così sbriciolate una dopo l’altra: l’epidemia di coronavirus non è limitata, come si voleva credere, alla sola Cina e non sembra destinata a esaurirsi in un trimestre. Non è affatto detto, aggiunge Roubini, che dopo ci sarà una ripresa rapida a forma di “V”. O tantomeno si deve credere che le autorità monetarie e i governi avranno la forza di far fronte ai danni che, come lascia intendere la frenata della Cina ma anche di Italia e Corea, rischiano di essere ben superiori a quelli immaginati. A voler essere molto ottimisti, incalza il profeta di sventure, la Cina potrà crescere quest’anno del 4 per cento, ma è più facile che alla fine ci si debba accontentare del 2,5. Una miseria, insomma, a cui la politica monetaria, già stressata da anni di tassi bassi, non potrà opporre terapie convincenti. Sia in Europa sia in Giappone dove già sono in vigore tassi negativi, ma neanche negli Stati Uniti, dove i margini sono comunque modesti. Insomma, l’anticamera dell’Apocalisse.
Nouriel Roubini - foto Piero Cruciatti/LaPresse
“Il coronavirus – chiude Roubini – potrebbe essere solo il primo degli choc che investiranno quest’anno l’economia globale: penso a una guerra tra Stati Uniti e Iran con un’impennata dei prezzi del petrolio. Ma anche al caos politico negli Stati Uniti, vulnerabili alle interferenze straniere. O alla ripresa del confronto tra Washington e la Cina”. Insomma, dopo la peste, anche la fame e la guerra. Non è affatto detto che vada così. Anche se, solo per scaramanzia, le analisi di Roubini vanno lette con attenzione. Di certo, il partito di chi liquida l’emergenza come un semplice incidente di percorso perde consensi a mano a mano che s’allarga la diffusione del virus. Anche tra i non catastrofisti prende peso la sensazione di essere alla vigilia di una svolta epocale.
È ciò che sostiene Guido Maria Brera, chief investment officer di Kairos, rinomata boutique finanziaria indipendente della City milanese, che ha coniato un’immagine efficace: il coronavirus è la Chernobyl della globalizzazione. “Molte cose sono destinate a cambiare – spiega –. Non ci si potrà più basare su un fornitore unico, che è la fabbrica Cina. Non sarà possibile basarsi solo su produzioni just in time o che componenti essenziali debbano per forza provenire da un solo paese”. Si profila così una disruption nella catena mondiale dell’organizzazione del lavoro dalle conseguenze ancora imprevedibili, come ha già sottolineato l’ex capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard. Sarà probabilmente un problema nel breve, ma anche un’opportunità nel medio per chi saprà sfruttare i nuovi equilibri. Ma non sarà l’Europa, prevede Brera, “che soffrirà di più perché non ha un sistema coordinato di banche centrali capaci di intervenire come fece la Fed in occasione degli attentati terroristici”. E come probabilmente farà nel caso la crisi si inasprisca.
Certo, per ora i banchieri centrali, compreso Richard Clarida, la vera mente della Federal Reserve, continuano a ripetere che di moneta in circolazione ce n’è fin troppa e che non ha senso allargare ulteriormente i cordoni della borsa. Ma non ci crede nessuno, a partire dai mercati che già prezzano un taglio dei tassi di mezzo punto, inevitabile anche se non sufficiente a contrastare la sfiducia che si diffonde assieme alla convinzione che la recessione, a questo punto, rischia di essere inevitabile nonostante gli sforzi di Donald Trump di stimolare la domanda a suon di sgravi fiscali destinati agli elettori americani. Ma tra le tante cose previste dalla Casa Bianca per assicurarsi una rielezione facile non era contemplato il rischio pandemia. E così Roubini spaventa il presidente più di Bernie Sanders.