Oddio, Mariana Mazzucato

Luciano Capone

Stato imprenditore, ma cinese. Il piano della neo consulente di Palazzo Chigi è delocalizzare la nuova Iri a Pechino

Roma. In Italia è tornato il momento dello Stato imprenditore, ma quello cinese. Palazzo Chigi ha ingaggiato come consiglieri per contrastare gli effetti economici del coronavirus, e più in generale per lavorare al Green New Deal e a forme innovative pubblico-privato, il belga Gunter Pauli e l’economista Mariana Mazzucato. Quest’ultima, docente allaUniversity College London, è diventata celebre nel mondo per i suoi studi e la sua opera divulgativa sull’“Entrepreneurial State” (libro tradotto in Italia con “Lo Stato innovatore”, a sottolineare il notevole investimento di fiducia sulle capacità innovative dello stato imprenditore). L’idea di base dell’economista anglo-italiana è che l’imprenditore più geniale e dinamico nella storia dell’economia non è un privato, ma lo stato: l’entità che è capace di fare notevoli investimenti in settori ad alto rischio, alla frontiera della ricerca, e con la pazienza necessaria ad attendere ritorni che arriveranno solo nel lungo termine. Si ribalta quasi il concetto: non è l’innovazione un prodotto del mercato, ma la mancata innovazione una specie di fallimento di mercato. Dove non rischiano neppure i più audaci e visionari venture capitalist, ci pensa lo stato. L’esempio paradigmatico della Mazzucato è quello del paese che incarna il capitalismo, gli Stati Uniti, dove il prodotto più emblematico del capitalismo, l’iPhone, sarebbe una specie di sottoprodotto dell’investimento pubblico in progetti militari.

 

Ma cosa vuol dire questo in concreto per l’Italia? Mazzucato suggerisce un aumento della spesa militare? Massicci investimenti in aziende statali, come Leonardo-Finmeccanica, impegnate nella difesa e nell’aerospazio? Finanziare la ricerca di base? La creazione di Fraunhofer, come in Germania, per sviluppare ricerca applicata da affiancare al nostro tessuto imprenditoriale frammentato? Niente affatto. Al momento il piano operativo della Mazzucato prevede di far comprare ex aziende di stato italiane dallo stato cinese.

 

L’economista lo ha esposto in un articolo di qualche mese fa su Repubblica dal titolo “Lo Stato imprenditore e l’eredità dell’Iri”, in cui proponeva la soluzione ai problemi di aziende figlie e orfane dell’Iri come Ilva, Alitalia, Autostrade e Tim. “Un moderno Stato imprenditore dovrebbe guardare verso la Cina”, scrive la Mazzucato, senza spiegare perché. Guardare verso la Cina non vuol dire puntare al mercato cinese o imitare la politica industriale del Partito comunista di Pechino, ma chiedere allo stato cinese di fare l’imprenditore anche qui. Ad esempio comprando l’Ilva di Taranto. “In cambio dell’accesso alla produzione siderurgica europea, alleanze con i colossi di Stato cinesi come Baowu o Hbis fornirebbero all’Italia il partner industriale, smezzando i costi d’investimento”, è l’idea della Mazzucato. Siccome lo stato italiano non ha soldi né competenze per gestire uno stabilimento siderurgico, che sia lo stato cinese a farlo al posto nostro. Questa politica industriale, però, entrerebbe in contrasto con la linea del premier Conte, che ha chiesto all’Europa una modifica delle regole europee volta alla creazione di campioni europei, capaci di competere a livello globale e capaci di reggere al dumping delle imprese statali cinesi. Analoga la soluzione della Mazzucato per Alitalia: “Qualcosa di simile si potrebbe realizzare con Air China, riorientando le tratte di Alitalia sul lungo raggio”. Entrambe le soluzioni prevedono un ruolo attivo della Cina, mentre lo stato italiano sarebbe uno spettatore passivo o un sparring partner. Pertanto per raggiungere l’obiettivo sarebbe più utile se la Mazzucato facesse questo tipo di consulenze a Pechino più che a Roma.

 

Per quanto riguarda le Autostrade, la Mazzucato ritiene che una nazionalizzazione sarebbe utile, così “le cospicue rendite di esercizio potrebbero fungere da cassa per finanziare altre iniziative”. Le tariffe resterebbero le stesse – quindi non verrebbe superata una delle critiche alla gestione privata – ma i profitti verrebbero probabilmente usati per ripianare le perdite di Ilva e Alitalia (sempre se i cinesi ci danno una mano a mettere la loro parte). Infine c’è la soluzione per Tim “dove un maggiore controllo pubblico potrebbe almeno scongiurare inutili doppioni nelle infrastrutture digitali, come l’operazione Open Fiber”. Qui il cortocircuito è davvero surreale, perché Open Fiber è proprio un’iniziativa dello Stato imprenditore: quindi lo stato, dopo aver creato un “inutile doppione”, per riparare all’investimento sbagliato dovrebbe comprare l’utile doppione. E questo sarebbe la garanzia della sua lungimiranza.

 

In questo processo di ri-nazionalizzazione di aziende che erano statali di innovativo non c’è nulla, se non che stavolta a gestirle sarà lo stato cinese. L’innovazione statale viene affidata in outsourcing, delocalizzata a Pechino.

* Aggiornamento: nella precedente versione dell'articolo era riportato che Mariana Mazzucato è docente all'Università del Sussex. Lo è stata fino al 2017. Ora è docente alla University College London.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali