Il sottosegretario Baretta fissa quota 15 miliardi contro il virus
“Resteremo sotto il 3 per cento, ma lo scenario eccezionale ci impone di avere un confronto molto franco con Bruxelles”
Roma. La constatazione potrà apparire banale. “Ma se lo scenario cambia - dice Pier Paolo Baretta - cambia anche la portata degli interventi necessari”. E insomma quei 7,5 miliardi stanziati giorni fa andavano bene prima della creazione della zona arancione al Nord e della sua estensione al resto del paese. “Ora è ragionevole prevedere una cifra doppia rispetto a quella”, dice il sottosegretario Pd all’Economia, rispondendo da quella Venezia dove è cresciuto, e dove è rimasto bloccato dopo la stretta sugli spostamenti. “Quindici miliardi ci permetterebbero non solo di attuare subito le misure urgenti, ma ci garantirebbero anche un margine di manovra in vista di ulteriori sviluppi”. Ché del resto la velocità e l’imprevedibilità del dilagare del coronavirus impongono continui stravolgimenti dei piani. “Ora si va verso il blocco generalizzato delle attività in Lombardia, ci aspettano almeno tre settimane di rallentamento drastico della produzione”.
Bisogna però convincere l’Europa. “Faremo in modo di restare, come d’altronde abbiamo sempre fatto, all’interno del vincolo del 3 per cento del deficit. Ma lo scenario eccezionale ci impone di avere un confronto molto franco con Bruxelles. Anche perché non c’è solo la voce della spesa, da tenere in considerazione: si va inevitabilmente verso un rallentamento della crescita, per cui il rapporto tra deficit e pil ne uscirà del tutto mutato rispetto alle previsioni”.
Un’incertezza, però, che non riguarda solo l’Italia. “Data la sottovalutazione della crisi epidemiologica da parte di altri paesi – ci dice Baretta – mi aspetto a breve un’evoluzione del dibattito. Dal governo tedesco, ad esempio, nelle ultime ore arrivano testimonianze di una maggiore comprensione, di una maggiore sensibilità ai problemi da noi sollevati nei giorni scorsi. Abbiamo insomma non solo il diritto, ma anche la possibilità, di porre all’attenzione dei nostri alleati europei delle questioni che da troppo tempo restano sospese, tra cui quella degli eurobond”. Vecchia storia, questa. “Ma la crisi in corso è profonda e inedita: o la affrontiamo con scelte coraggiose e innovative, oppure rischiamo di restarne travolti”.
Quanto al merito delle misure da adottare, “in primo luogo dovrà esserci un sostegno deciso alla sanità pubblica, in termini sia di personale sia di macchinari. Dopodiché, famiglie e imprese vanno tutelate al massimo. Dobbiamo ad esempio predisporre la cassa integrazione anche ai settori finora esclusi, come quello turistico e alberghiero, che da questa crisi sono stati colpiti in modo notevole. E ancora, dare garanzie alle piccole e medie imprese di accesso al credito. Le risorse stanziate serviranno anche a sospendere mutui e tasse e a offrire forme di rientro diluite nel tempo. Infine, pianificare fin d’ora la fase della ripartenza, prevedendo sia una campagna di promozione dei nostri prodotti all’estero, sia un impegno deciso per lo sblocco dei cantieri”.
E con quota 100 e reddito di cittadinanza, che fare? “Non è il momento, ora, di mettere in discussione questi strumenti. Ma quando, alla fine della crisi, tireremo le somme, allora bisognerà prendere decisioni coraggiose. Perché non basterà certo appellarsi solo alla flessibilità europea, per trovare le risorse necessarie a far ripartire il nostro sistema produttivo”.
Prima, però, c’è appunto da affrontare la crisi. Può servire, in questo senso, la figura di un supercommissario? “L’idea non mi scandalizza. Vediamo prima, però, come reagisce il paese a questo necessario inasprimento delle misure di prevenzione. La responsabilità personale è fondamentale, nel fronteggiare il virus. Se i cittadini ci danno una mano, basterà una gestione della crisi ordinaria. Altrimenti, un maggior coordinamento delle misure d’emergenza potrà essere utile”. Anche in questo caso, del resto, la strategia cambia al mutare degli scenari.