(foto LaPresse)

Rider e consegne a domicilio. Così il coronavirus svela i limiti dell'Italia

Barbara D'Amico

Ora che i consumatori sono costretti a casa il settore dovrebbe crescere. Ma i malumori potrebbero dare un contraccolpo serio alla filiera

Torino. Il virus della gig economy battuto da un virus in carne o ossa. Non è un assunto né una profezia, bensì l’impressione che si ha osservando i piccoli ma potenti movimenti tellurici in queste ore al lavoro per scuotere l’economia digitale italiana. Segnali di proteste e malumori che dalla logistica fino alle consegne via app potrebbero riscrivere il destino dell’atteso picco di domanda per il settore e dare un contraccolpo serio alla filiera. Proprio ora che la domiciliazione semi-forzata costringeva i consumatori a far più uso dei servizi digitali rispetto anche solo a due settimane fa.

 

Partiamo dai rider e dalle consegne a domicilio. Come riportato da Il Sole 24 Ore in questi giorni la sola Coop Lombardia aveva registrato un’impennata del delivery, con una media di 900 consegne al giorno solo nella regione. Piattaforme come Supermercato24, invece, hanno quasi decuplicato le visite per la spesa online. Ma la logistica dei ciclo-fattorini non è pronta a reggere l’urto delle richieste italiane. Lo dimostrano i dati sui tempi di consegna che si sono allungati fino a 5, 9 giorni e anche di più e questo prima che il dpcm del 9 marzo segnasse la chiusura di ristoranti, pub ed esercizi: vale a dire la base di realtà come Uber Eats, Glovo o Deliveroo.

 

A questo si aggiungono le segnalazioni di fattorini denunciati perché trovati positivi al coronavirus ma perfettamente circolanti (l’ultimo caso a Pavia) o di rider che lamentano di non avere mascherine né guanti per poter lavorare eppure effettuano consegne con la paura di essere contagiati. Difficile però stimare i numeri degli addetti in servizio. Secondo un’indagine Inapp del 2019 in Italia i gig workers sono oltre 210 mila ma non tutti sono rider e le cifre ballano: si parla di quote comprese tra 10 e 40 mila, senza contare il fenomeno del lavoro nero e in subappalto di cui fanno le spese le categorie più deboli: ragazzi e ragazze straniere e immigrati. Segnali non buoni che hanno spinto la Cgil a chiedere la sospensione dell’attività dei rider. Prima ancora Cgil, Cisl e Uil avevano chiesto ad Assodelivery, l’associazione che raggruppa alcune delle major del settore in Italia (tra cui Deliveroo, Glovo, Uber Eats, Just Eat, Poke House, Social Food) di fornire mascherine e informazione adeguata sui rischi. Rischi doppi, sia per la salute dei lavoratori sia per i clienti che ci entrano in contatto.

 

Raggiunta dal Foglio, Deliveroo, che nel 2018 era arrivata a 6500 rider in tutta Italia, non ha commentato nello specifico le richieste e la posizione dei corpi intermedi, preferendo ribadire insieme alle altre imprese associate alcune linee guida per i ristoratori su come affidare i pasti in modo sicuro.

 

Che siano i sindacati e persino i comuni italiani a preoccuparsi della sicurezza dei rider non depone a favore del settore e rischia di tramutarsi in un boomerang per la crescita delle aziende e quindi dei posti di lavoro. “Già venerdì (6 marzo ndr) abbiamo chiesto alle piattaforme italiane di estendere a tutte le loro aziende l’articolo 6 della Carta di Bologna che prescrive misure di sicurezza, ad esempio la consegna senza contatto, solo con pagamento online e non contante e solo con consegna al piano in cui si suona e si lascia fuori il cibo”, spiega Marco Lombardo, assessore alle attività produttive del comune di Bologna. Tra i firmatari del documento c’è anche l’azienda Domino’s Pizza, che in Italia conta circa 400 addetti e spiega di esser corsa subito ai ripari adottando la modalità contactless delivery e fornendo guanti usa e getta e mascherine. Secondo il Ceo, Alessandro Lazzaroni anche se non è possibile prevedere l’impatto del coronavirus sul comparto consegne e logistica “nel lungo periodo vincerà chi avrà cura delle persone. Tutelare i rider adesso significa tutelare anche i clienti, è una forma di servizio sociale, anche perché il dpcm del 9 marzo consente le consegne ma solo a patto che siano fatte in sicurezza”.

 

Il timore è che, nonostante le lotte per ottenere “dignità” e tutele pro rider, negli ultimi anni si sia perso troppo tempo a discernere sull’inquadramento - lavoratore autonomo o dipendente - e poco sulla creazione di strumenti che adesso renderebbero la filiera estremamente efficiente.

 

Del resto lo stress e la capacità di garantire allo stesso tempo sicurezza e servizio, stanno mettendo a dura prova player ben più importanti del comparto logistico. Amazon, ad esempio, aveva intensificato la sua attività per far fronte al picco di domanda - specie per le consegne prime now - ma oltre ad aver accumulato comprensibili ritardi sugli invii celeri, in almeno due stabilimenti italiani i lavoratori hanno indetto lo stato d’agitazione. A Torrazza Piemonte, dove una lavoratrice è risultata positiva al virus covid19 e nell’hub di Passo Corese, in provincia di Rieti dove Filt e NIdiL Cgil Rieti Roma Est Valle dell’Aniene hanno ritenuto “insufficienti i provvedimenti assunti da parte di Amazon Italia Logistica (rispetto alle procedure di contrasto al coronavirus ndr) rilevando particolari criticità rispetto al distanziamento delle postazioni di alcuni reparti, la mancata dotazione di tutto il personale, sia diretto che in somministrazione, di dispositivi di protezione individuale per lo svolgimento della normale attività lavorativa e per l’utilizzo dei luoghi comuni, come la mensa, gli spogliatoi e i bagni”. Le misure suggerite da Giuseppe Conte, come lo smaltimento delle ferie e i congedi per limitare la presenza fisica e gli spostamenti dei lavoratori in azienda non possono applicarsi davvero al settore logistico, che vive di spostamenti ma non riesce a rassicurare il personale, ora più nervoso e pronto a incrociare le braccia. Il 12 marzo Fiom Cgil, Fim Cisl e Uil hanno chiesto la chiusura delle fabbriche metalmeccaniche in tutte Italia fino al 22 marzo ad esclusione di quelle in cui è possibile svolgere smart working o che operano nei servizi essenziali. Un appello che, se accolto, avrebbe ripercussioni anche sul mondo delle consegne e suona come monito.

 

La soluzione immediata per garantire protezioni agli addetti, siano essi rider o fattorini, potrebbe essere quella suggerita dall’assessore Lombardo: lavorare con la Protezione Civile, che gestisce anche l'approvvigionamento di mascherine, per trovare il modo di rifornire, dopo il personale sanitario, anche quelle categorie che ora sono costrette a lavorare. Come i gig workers italiani su cui si rischia di scaricare l’effetto più pernicioso dell’emergenza, mandando in tilt quello che potrebbe essere un momento d’oro delle consegne online.