Altro che colpa del neoliberismo, contro il covid-19 serve Big pharma
Libera scienza e libero mercato sono il vaccino della società del benessere
Si legge in giro, ed era atteso come un riflesso pavloviano, per esempio in un articolo di Barbara Spinelli sul Fatto quotidiano, che la tragedia pandemica in corso non sarebbe dovuta a Covid-19, o a pratiche alimentari tribali e rischiose di un paese totalitario, che a causa della censura ha lasciato che il parassita si diffondesse ad di là di ogni possibile controllo. La colpa, in realtà, sarebbe del dogma neo-liberale: il culto del libero mercato avrebbe impedito alla ricerca biomedica e farmaceutica di mettere a punto medicine contro i coronavirus, che circolano da quasi vent’anni, cioè dai tempi della Sars. Per i neoliberali, si dice, gli unici criteri che valgono per decidere come investire sarebbero quelli del maggior profitto realizzabile nei tempi più rapidi, per cui le epidemie e i vaccini sarebbero qualcosa di troppo incerto, considerando che non si può escludere che quando ci sarà un vaccino contro Covid-19, questo non sia scomparso o abbia perduto la virulenza, cessando di costituire un problema sanitario. Così è andata con la Sars. Ergo spetterebbe allo Stato “innovatore” o “imprenditore” supplire alla miopia neoliberista e investire nell’interesse sanitario comune, dato che attraverso la ricerca pubblica esso dispone anche delle più avanzate conoscenze e tecnologie.
L’idea che lo Stato conosca meglio come e dove investire nell’interesse generale è tutta da dimostrare. L’evoluzione della realtà è imprevedibile e le pianificazioni statali hanno di regola tragicamente fallito, tranne in Cina dove si è pianificato di non lasciare le persone libere ma di consentire al mercato di trovare le soluzioni dei problemi economicamente e socialmente più vantaggiose. Se lo Stato fosse l’algoritmo di un’intelligenza artificiale, che usa in modo statisticamente e controfattualmente controllato le informazioni, si potrebbe sperare in investimenti almeno non influenzati da bias motivazionali umani. Però lo Stato, alla fine dei conti, è il risultato di logiche di negoziazione che a seconda dell’antropologia locale o del momento politico possono essere pessimamente condizionate da quella che Weber chiamava etica dell’intenzione, a scapito dell’etica della responsabilità. La storia economica dell’Italia ne è monumentale testimonianza.
C’è un esempio nel mercato dei farmaci, sotto i nostri occhi, di come lo stato imprenditore, abbia causato distorsioni negli investimenti privati e nella determinazione del prezzo delle medicine. Tutti si scandalizzano per il fatto che le ultime generazioni di farmaci biologici e per malattie “orfane” costano da diverse centinaia di migliaia ad alcuni milioni di dollari e che questi prezzi possano essere stabiliti a piacere dalle imprese, tenendo conto solo del maggior guadagno che riusciranno a ottenere. Da alcuni anni le imprese investono molto meno nella ricerca di farmaci per malattie croniche, dato che c’è più concorrenza, e che possono guadagnare somme ingenti in pochi anni con i farmaci orfani, in alcuni casi risolutivi di una malattia, pur se i pazienti sono pochi. Nel 2018 sono stati autorizzati 34 farmaci orfani e uno solo contro malattie croniche. In realtà questa situazione, che è giudicata uno scandalo etico e la prova dell’avidità degli imprenditori, si deva a una legge statunitense del 1983 che stimolava la ricerca sulle malattie orfane e garantiva incentivi economici alle imprese che si dedicassero a produrre farmaci in tale ambito. Le imprese hanno sfruttato questi vantaggi, colonizzando una nicchia offerta dallo stato, dove non avrebbero trovato competizione. Non al libero mercato va imputato il fatto che i prezzi dei farmaci siano schizzati alle stelle, ma allo Stato che si è voluto impicciare credendo di fare del bene.
Veniamo ai vaccini. Si tratta di prodotti particolari, il cui sviluppo costa più di un farmaco (si stima oltre 2 e fino a 5 miliardi di dollari, a seconda di vari fattori in gioco). In condizioni normali servono almeno 10 anni per giungere sul mercato. I vaccini richiedono accurata sperimentazione, e non raramente effetti collaterali si scoprono dopo la commercializzazione. Storicamente, l’impennata nella approvazione di nuovi vaccini si è avuto dopo il 1970, in particolare nel decennio 2001-2010, mentre il neoliberismo era vivo e vegeto, durante il quale ne sono nati ben 26. La produzione di vaccini è un ecosistema molto particolare che richiede strategie lungimiranti, dove forse gli incentivi statali avrebbero più senso che per le malattie rare. Sappiamo, per esempio, che dal 2016 è pronto in frigorifero almeno un vaccino contro la Sars, che potrebbe essere protettivo per Covid-19. Tuttavia, nessuno ha voluto fare ricerca preclinica e clinica, perché la Sars non è da tempo più un problema sanitario. Oggi qualcuno dice che si sarebbe dovuto prevedere quel che è accaduto, ma è ridicolo. E’ un pensiero pseudo-scientifico, un bias del tipo “io l’avevo previsto”, per cui cerchiamo sempre di aver ragione a posteriori.
Per sconfiggere la pandemia in corso servono molta ricerca e molta collaborazione. Di fronte all’emergenza di Ebola e altre malattie virali, fu creata nel 2017 la Coalition for Epidemic Prepardness Innovations, che raccoglie finanziamenti a livello mondiale per distribuirli nel migliore dei modi e che al momento sta guidando la campagna militare per trovare il vaccino contro Covid 19. Il costo stimato è introno a 1,5 milardi di dollari. Ma un vaccino non è appunto come un qualsiasi farmaco, perché il sistema immunitario ha la sua logica funzionale. Per esempio, il vaccino contro Covid-19 potrebbe doversi confrontare con l’insidioso fenomeno della “malattia potenziata dal vaccino” che si è visto nei modelli animali di Sars e Mers, dove appunto la condizione clinica si aggrava se il vaccino è somministrato a persone con anticorpi.
La collaborazione tra stato e industria sarà necessaria per la produzione su larga scala. Solo alcune multinazionali possiedono piattaforme tecnologiche per mandare sul mercato miliardi in dosi. Sostenere che “il mercato frena l’avanzata della scienza” è un’idiozia sesquipedale, perché le società del benessere e della conoscenza nelle quali viviamo più in salute di sempre sono il risultato della collaborazione tra scienza e mercato. Senza la scienza, nessun libero mercato può risolvere i problemi attraverso le innovazioni continue, e dove il libero mercato non ha trovato spazio, la scienza è stata censurata. Per cui il benessere non è mai arrivato.