Ripetere che dopo il contagio da coronavirus e il suo impatto sull’economia globale nulla sarà come prima è un esercizio inutile, anche se oggi ampiamente praticato. Il fatto che il futuro continui a sorprenderci mal si concilia infatti con affermazioni apodittiche e, d’altra parte, non è vero che, senza politiche preordinate corrette, i mercati, la società e i governi di per sé correggeranno nella giusta direzione i comportamenti in un processo di apprendimento condizionato da quanto oggi accade. I processi darwiniani sono infatti molto lunghi, difficilmente prevedibili e spesso molto dolorosi per chi ne subisce le conseguenze negative. Dopo la crisi del 2008, molte politiche sono cambiate e ora sappiamo che molti cambiamenti di policy sono stati sbagliati. Ma soprattutto il mondo è molto cambiato da allora e solo in piccola parte a causa della crisi del 2008. Molto di più è cambiato per il progresso tecnologico e per l’evoluzione dell’economia globalizzata e dell’ulteriore crescita demografica globale sulla quale è difficile dire quanto abbia influito la grande crisi finanziaria. Molto più utile, quindi, è valutare programmi alternativi da adottare oggi. Sappiamo che l’impatto economico del contagio dipenderà dalla sua estensione nello spazio e durata nel tempo, d’altra parte entrambe queste caratteristiche dipendono a loro volta dalla durata e dall’estensione del blocco delle attività economiche finalizzato ad attuare la strategia del “distanziamento sociale” e dalle misure di politica economica che possono essere messe in campo per mitigarne gli effetti recessivi sia nel breve che nel lungo termine. Ciò significa che la riduzione della durata e dell’estensione del contagio e la mitigazione degli effetti relativi hanno un costo economico che deve essere confrontato con il beneficio atteso, sia in termini di salute pubblica e vite umane sia in termini di più rapida ripresa economica dopo la fine dell’emergenza. L’efficacia delle misure di policy inoltre dipende criticamente dalla loro tempestività, perché mai come in questa occasione, ci troviamo di fronte a fenomeni per cui i ritardi o gli errori di timing nell’intervento pubblico possono non solo mancare di migliorare la situazione, ma causare danni permanenti e progressivi. Queste premesse implicano che l’azione di policy debba essere rivolta a due obiettivi contemporanei: minimizzare il danno del blocco delle attività economiche e minimizzare l’estensione e la durata del blocco necessario a frenare il contagio. I due obiettivi richiedono due strumenti distinti. Per quanto riguarda il primo obiettivo, si deve partire dal fatto che il blocco delle attività economiche conseguente al contrasto del contagio determina essenzialmente uno shock negativo di offerta che poi determina, come conseguenza dell’arresto della produzione di redditi, una caduta della domanda. L’effetto recessivo è amplificato dal fatto che lo shock di offerta interessa progressivamente gran parte dei paesi avanzati ed emergenti e quindi blocca parte del commercio mondiale e determina un crollo della domanda globale sia nell’immediato, sia, a causa della sua progressività, nelle aspettative economiche delle imprese e dei mercati. Per impedire una recessione prolungata e la distruzione di capacità produttiva, gli Stati non devono quindi solo sostenere la domanda aggregata con un generico stimolo fiscale, ma devono disegnare lo stimolo fiscale in modo da veicolare liquidità e pagamenti direttamente nelle filiere e compensare, di conseguenza, in modo selettivo i redditi persi da imprese e famiglie lungo la catena produttiva. In altre parole, per stimolare la domanda è necessario sostenere l’offerta, utilizzandola come veicolo primario di immissione di liquidità e di pagamenti compensativi nel sistema produttivo e, quindi, come veicolo primario di distribuzione di redditi. Si tratta di una situazione senza veri precedenti, perché, anche nel caso della spesa per investimenti pubblici, l’impulso antirecessivo è sempre stato anzitutto un incremento di domanda di beni capitali. In questo caso, invece, le filiere produttive debbono essere il canale principale di uno stimolo di mantenimento che ne impedisca il collasso e quindi mantenga la domanda e l’occupazione a livelli adeguati lungo tutta la catena del valore. Se una impresa che esporta deve bloccare la sua produzione e perde fatturato, ciò si ripercuote sulla sua capacità di alimentare la domanda dei suoi fornitori, pagare salari, distribuire profitti e far fronte al pagamento di interessi e obbligazioni. Per evitare il suo fallimento o un suo indebolimento finanziario e produttivo è necessario quindi mettere in campo una serie di misure in grado da un lato di fornirle liquidità e dall’altro di compensarle, almeno in parte, del fatturato perso in modo che possa continuare far fronte ai suoi impegni di pagamento e non perdere la sua capacità produttiva. Si tratta, in altri termini, di affrontare un problema di solvibilità e non solo di liquidità. Un sostegno generico ai redditi delle famiglie non otterrebbe lo stesso scopo per vari motivi, tra cui il probabile incremento di risparmio precauzionale, ma soprattutto perché esso non si tradurrebbe automaticamente in maggior domanda per le imprese colpite e quindi in un aiuto alla loro sopravvivenza. Le forme ventilate di aiuto diretto alle famiglie determinerebbero quindi un processo di ripresa molto lento perché guidato da una riallocazione di redditi e con un processo di selezione delle imprese e attività economiche differenziato per settori. Il rischio è che soffrirebbero maggiormente proprio le imprese più integrate nelle filiere produttive internazionali o rivolte alla domanda estera, che oggi sono esposte ai contraccolpi sia del blocco delle attività in Italia sia del blocco delle attività nei paesi partner commerciali e produttivi. Questi interventi, strettamente mirati a far fronte allo shock di offerta, non vanno peraltro confusi con la necessità di approntare programmi importanti di investimenti pubblici infrastrutturali e di rafforzamento del capitale umano e sociale, che sono necessari per aumentare il tasso di crescita futuro. Ad esempio, l’accelerazione della costruzione di un ponte, di una autostrada o di un’altra opera pubblica, anche se importante per la ripresa complessiva dell’economia, non rimette in piedi un’impresa esportatrice in difficoltà economica a causa del blocco causato dalla pandemia.
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