Prove tecniche di ripartenza
Per uscire dalla crisi è necessario cambiare strutturalmente le imprese e il lavoro. Sicurezza, spazi in fabbrica, smart working, welfare. Usare questi giorni per costruire da subito il giorno dopo. Un piano operativo da chi conosce bene il mondo del lavoro
Le polemiche sulle iniziative di mobilitazione dei metalmeccanici sono state in molti casi strumentali. Vi sono stati pochissimi scioperi, solo dove le aziende non avevano investito in sicurezza e dove avevano giocato su interpretazioni furbesche della lista delle attività essenziali. Non si vuole capire che quando non si cura bene la ripartenza, quest’ultima arriva più tardi e in modo fragile.
Un imprenditore che fa rientrare i lavoratori senza aver garantito la massima sicurezza perde la loro fiducia per sempre. La crisi del 2008 ci ha fatto perdere il 25 per cento del tessuto industriale, senza successivi, rilevanti, effetti compensativi; questa emergenza sanitaria determinerà una ulteriore contrazione di capacità produttiva e perdite di 650 miliardi secondo le stime del Cerved. Si tratta di un disastro da cui il paese uscirà se cambia profondamente, con riforme strutturali che modernizzino lo stato, abbattano la burocrazia, affrontando con durezza i deficit strutturali del nostro paese: infrastrutture, banda ultralarga e 5G, scarsa innovazione, accesso al credito (e in questo momento linee di credito garantite dallo stato), formazione, certezza del diritto e non del contenzioso, etc. Se su queste cose si continua a non fare sul serio, scaricare il peso della responsabilità della ripartenza sugli operai è grottesco.
Se lo smart working viene fatto male, non funziona e oscillerà tra smart holidays e cottimo digitale a 20 ore al giorno. Se si procede contrattualizzando lo smart working e utilizzando i quattro ingredienti fondamentali (libertà, autonomia, fiducia e responsabilità), si avranno risultati straordinari
Ora, nella speranza che si arrivi con dati diversi a Pasqua, vi sono altri discorsi da fare. Non tanto per la Lombardia e le zone focolaio, dove la situazione è ancora lontana dall’essere sotto controllo. In quelle realtà ha senso ragionare sul far marciare ciò che serve realmente. Altrove potrà ripartire chi è in grado di garantire integralmente la sicurezza.
Ovunque bisogna usare, sapientemente, questi giorni per costruire, da subito, il giorno dopo. Bisogna salvare le vite e il lavoro. Ognuno deve fare la sua parte e la Fim-Cisl non si è mai tirata indietro anche sfidando l’impopolarità. Mi permetto di segnalare alcune cose da realizzare subito e altre da cambiare in modo stabile.
Se si riparte esattamente come prima delle fermate, si ripartirà fragili. Bisogna ripartire cambiando le imprese e il lavoro strutturalmente. La ripresa deve essere solida e deve andare oltre. Non sarà cancellando le ferie ai lavoratori che si recupereranno i punti di pil o la produttività aziendale, ma dimostrando che è partita una sfida nuova in cui andare oltre l’esistente.
Non abbiamo bisogno di attendere tutte le conferenze stampa di Palazzo Chigi, bisogna riportare la gestione della ripartenza in azienda, con un grande impegno collettivo. La palla passa a noi.
Riportare il Protocollo in azienda
Prendere il Protocollo del 14 marzo firmato da Cgil, Cisl, Uil, datori di lavoro e governo, e verificare con una check list tutti gli adempimenti. La sicurezza è innovazione e pertanto non può non essere un processo di partecipazione in cui coinvolgere le organizzazioni sindacali, gli rls e, dove presenti, le rsu, perché andrà calzato a seconda delle specificità aziendali.
Segnalo un decalogo molto ben fatto dal Dipartimento salute e sicurezza della Cisl, o un altro a cura del Politecnico di Torino sempre insieme alle parti sociali torinesi. In sintesi alcune misure: riorganizzare tutti gli accessi/varchi/uscite e gli spazi comuni (mense, spogliatoi, marcatempo, distributori di alimenti); rendere efficace una tra le principali misure di prevenzione: la pulizia quotidiana in tutti gli ambienti di lavoro, di transito e negli spazi comuni, nonché la pulizia a ogni fine turno delle attrezzature, della strumentazione e dei distributori di alimenti; sanificazione periodica e ventilazione (investendo qualche soldo in purificazione); presidi di detergenza, ecc.
Cambiare l’organizzazione del lavoro
Non è finita qui. Ci sono cose che bisognerà modificare in modo stabile. L’emergenza secondo gli esperti durerà almeno un anno, forse più.
Prima di riaprire, le aziende devono rodare le procedure di sanificazione con tempistiche certe e prodotti adeguati. Acquisire scorte di dpi adeguati, mascherine, in alcuni casi occhiali protettivi, igienizzanti. Scaglionare presenze negli spazi comuni, nelle mense e vicino alle macchinette del caffè. Occorre avere cura degli spostamenti verso i luoghi di lavoro e di quelli di rientro a casa, durante i quali occorreranno dpi come al lavoro, disinfettanti e igienizzanti: in bus soprattutto e in auto propria (al massimo in due, e chi non guida si deve collocare nei sedili posteriori, e non dietro al guidatore).
Ripensare gli spazi di lavoro
L’obiettivo è rendere il luogo di lavoro più sicuro della propria abitazione, strutturalmente.
E iniziare a ripensare gli spazi di lavoro. Ad esempio, se è complicato intervenire in una cabina di un elicottero in costruzione, in quanti altri lavori occorre offrire spazi vitali più ampi? Gli amici di Efm stanno pensando a un grande progetto nazionale su questo, ma intanto ognuno nella propria fabbrica e negli uffici può ripensare gli spazi anche perché siano più confortevoli. Certo, non c’è un trade-off automatico tra spazi ridotti negli uffici e più ampi in officina, ma se ripensiamo le aziende come è avvenuto nell’ultimo decennio molto si può fare. Le palazzine direzionali stile Fantozzi sono utili solo a quel megadirettore generale. Andate a vedere che fine ha fatto la palazzina direzionale di Fca a Pomigliano.
Sono occasioni per mettere mano ad un layout degli spazi di lavoro più innovativo, moderno e meno fragile. Se nel 2020 ci sono luoghi di lavoro con le persone ammassate, qualcosa non va a prescindere dal virus. Lo spazio che si libera per lo smart working può essere utile a distanziare i lavoratori su produzioni “non remotizzabili”.
Non è male avviare un gruppo di lavoro che aiuti a ripensare gli spazi e poi i tempi dell’azienda in modo strutturale.
Si riparte con la formazione
E’ bene ripartire con momenti formativi prima di rientrare al lavoro, a distanza, e poi il giorno del rientro. Non rassicurare “a parole”, ma far capire che la vita viene prima di tutto. Bandire gli “zitti e lavorate” che abbiamo sentito troppe volte. I lavoratori devono percepire la fabbrica più sicura della loro casa.
Partire subito, in questi giorni, con e-learning facendo vedere cosa si sta facendo per la sicurezza e le misure che si adotteranno. Il primo giorno, a piccoli gruppi, ripartire con momenti formativi.
Risulta indispensabile la formazione di tutte le persone coinvolte nel progetto, dagli operai agli amministrativi, ai manager, agli imprenditori. I temi principali dovrebbero essere:
- consapevolezza del principio “ognuno protegge tutti” e presa in carico della responsabilità di ciascuno;
- procedure da seguire, a casa, nel tragitto verso il lavoro, durante l’orario di lavoro e nel rientro;
- attenzione al senso di “falsa sicurezza” dato da guanti e mascherine e uso corretto di queste ultime;
- importanza della sanificazione dei luoghi di lavoro;
- segnalazione precoce di eventuali sintomi sospetti o comportamenti non in linea con le prescrizioni;
- consapevolezza del trattamento dei propri dati personali.
Per la copertura delle spese associate alla formazione potrebbero essere impiegati fondi interprofessionali. Noi come Fim-Cisl abbiamo avviato insieme a Skilla un piano di e-learning per 7.000 delegati di fabbrica in avvio in queste ore.
Ridurre le presenze concomitanti in azienda
Avete utilizzato per la prima volta lo smart working? Non date valutazioni definitive, chi dirà che va tutto bene e chi dirà che non funziona non ha fatto smart working. Lo smart working è un’innovazione e come tale prevede un percorso di partecipazione e soprattutto di riprogettazione del lavoro. Se ben fatta, vincono lavoratore e azienda. Il primo guadagnerà benessere e tempo, la seconda produttività e “flessibilità ricca”. Se lo smart working viene fatto male, non funziona e oscillerà tra smart holidays e cottimo digitale a 20 ore al giorno. Se si procede contrattualizzando lo smart working e utilizzando i quattro ingredienti fondamentali (libertà, autonomia, fiducia e responsabilità), si avranno risultati straordinari. Se si pensa che la responsabilizzazione non funzioni, vuol dire che il capo del personale ha meno fiducia dei propri dipendenti di quanti ne ha un pastore del suo gregge.
Il rientro del personale nei luoghi di lavoro
Il rientro nei luoghi di lavoro va organizzato gradualmente in base all’età dei lavoratori, a parità di competenza, in ragione del fatto che è assodato che la gravità degli effetti dell’infezione Sars-CoV-2 risulta crescente con l’età. Dovranno essere elaborate specifiche politiche e misure di welfare per attenuare le discriminazioni tra lavoratori e le conseguenti conflittualità che ne potrebbero scaturire.
Nelle prime fasi non rientreranno i lavoratori con patologie croniche (diabete, ipertensione o malattie cardiache ecc.) o comunque attive, che tipicamente peggiorano il quadro clinico dei malati di Sars-CoV-2. In tema di tutela della privacy dovranno essere individuate responsabilità e predisposti specifici protocolli attivi solo finché è attiva l’emergenza Covid-19.
Proteggere i più vulnerabili
Servono a livello centrale, regionale o anche a livello aziendale dei protocolli affinché sia garantita la privacy dei lavoratori, soprattutto in caso di prelievi.
La contrattualistica del lavoro basata sullo scambio “prestazione lavorativa-salario” è roba vecchia e in molti lavori la prestazione viene misurata con la presenza o poco più. Serve un nuovo pensiero che la riqualifichi in uno scambio costruttivo, progetto di lavoro-benessere della persona
Se, come dice l’Imperial College di Londra, i contagiati in Italia sono già oltre i 6 milioni, a ripartire potrebbero essere gli immunizzati (come stanno facendo in Germania), dopo una verifica con l’analisi del sangue, e i meno vulnerabili. Le aziende potrebbero fare convenzioni per questi test. (Non è ancora chiaro, però, quanto duri l’immunizzazione da quando compaiono e si sviluppano gli anticorpi IgG+).
Ripartiamo comunque con gradualità. Sia con diverse turnistiche, sia tenendo protetti gli iper-suscettibili. E poi usare questi giorni per valorizzare il lavoro fatto in smart woking, farsi aiutare a farlo davvero e meglio. Ha proprio senso riportare in ufficio otto ore al giorno, 40 alla settimana e 1.760 all’anno le persone che stanno svolgendo lavori “remotizzabili” ed eseguibili a distanza?
Gli smartwokers vecchi e nuovi hanno continuato a lavorare in sicurezza. Per questo le aziende che lo adottano sapientemente sono più forti e meno vulnerabili.
Escludere da coloro che rientreranno per primi le persone con “maggiore suscettibilità”. Secondo le autorità sanitarie esse sono: gli over 65 anni; le persone affette da neoplasie maligne, diabete, ipertensione non stabilizzata, malattie cardiovascolari minacciose, malattie croniche delle vie respiratorie con deficit ventilatorio; pazienti sottoposti a terapie che indeboliscono il sistema immunitario (ad es. terapie con cortisonici); lavoratori con insufficienti capacità cognitive e comportamentali e lavoratrici in gravidanza. Per questi lavoratori la valutazione della gravità di queste condizioni va considerata con rigore per scaglionare il rientro.
In questi casi il lavoratore tramite il medico generale scriverà all’Inps, certificando il caso di “malattia preventiva” con codice v07 o un certificato del medico competente che attesti quelle patologie.
In questi giorni in molte aziende vuote i dirigenti di buon senso si sono accorti di quanto spazio inutile si spreca o di come si può lavorare strutturalmente con maggiore distanza, di come si potrebbe lavorare meglio e vincere tutti.
Su questo versante gli amici Copernicani sono attivi su molti fronti tra cui proprio la costruzione di un software utile a realizzare un cordone sanitario sui più vulnerabili.
In campo progettisti del lavoro
Servono persone dotate di competenze e visioni che accompagnino questa transizione. Molte aziende, alle prime interruzioni di sub-fornitura, si sono rese conto di non conoscere fino in fondo le loro filiere. Come ho scritto insieme a Massimo Chiriatti due anni fa nel manifesto Blockchain Italia, se iniziamo a utilizzarla non solo per le criptovalute ma come un bene pubblico digitale, questa infrastruttura sarà utile per tracciare la sostenibilità delle filiere, i sistemi Ttt per monitorare il contagio ecc. E’ il momento di chi ha visione e idee. Speriamo che ragnatele amicali e burocrazia non fermino questo momento fecondo.
Serve discontinuità profonda e un po’ di coraggio. Quanto tempo si sottrae alla vita dei lavoratori che non corrisponde a produttività? Questa sarà un’occasione per rendersi conto che la contrattualistica del lavoro basata sullo scambio “prestazione lavorativa-salario” è roba vecchia e che in molti lavori la prestazione viene misurata con la presenza o poco più. Serve un nuovo pensiero che la riqualifichi in uno scambio costruttivo, progetto di lavoro-benessere della persona. Lasciare il cuore e il cervello dei lavoratori fuori dai cancelli è sinonimo di scarsa attenzione sia al benessere dei lavoratori che della produttività. Ecco, serve un grande lavoro perché il paese riparta. Nelle crisi emergono i nodi strutturali, i vizi peggiori delle persone, gli egoismi e le cattiverie, i particolarismi, ma anche le virtù di chi si rimbocca le maniche. Ripartiamo da questi ultimi e torneremo prima a una nuova normalità, in sicurezza.
L’autore di questo articolo è segretario generale dei metalmeccanici Fim-Cisl