Carlo Messina

La "Bei Bis" di Messina trova sostegno alla Cattolica

Mariarosaria Marchesano

Secondo l'economista Cerniglia far ricapitalizzare la Banca europea degli investimenti dal Mes è una soluzione sensata che potrebbe aiutare a superare lo stallo politico a livello europeo. Con questo schema all'Italia arriverebbero 100 miliardi 

Milano. La proposta avanzata dall’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, di superare lo choc economico del coronavirus facendo ricapitalizzare la Banca europea degli investimenti attraverso il Meccanismo europea di stabilità trova sostegno nel mondo accademico. Floriana Cerniglia, economista dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige il Centro di ricerche per lo sviluppo economico internazionale, dice al Foglio che quella di Messina “è una soluzione molto sensata che potrebbe aiutare a superare lo stallo politico a livello europeo ed evitare di sfasciare la stessa Unione”.

  

In un'intervista a Repubblica, l'ad di Intesa ha illustrato a grandi linee uno “schema sinergico” che punta a superare sia le resistenze di alcuni stati ai prestiti del Mes sia i timori dei “nordici” come l’Olanda a mutualizzare i prestiti di singoli paesi.  La cosa funzionerebbe così: il Mes si indebita sui mercati e poi ricapitalizza la Bei con 100 miliardi. Grazie alla sua leva finanziaria, la Bei potrebbe finanziare 600 miliardi di progetti in Europa, di cui circa 100 miliardi sarebbero destinati all’Italia in proporzione alla sua quota di capitale detenuta nella Banca (circa il 19 per cento, al pari di Germania e Francia).

  

“Quest’idea è interessante e va sostenuta, anche se ci sono aspetti giuridici da approfondire – spiega Cerniglia, che in questo periodo sta approfondendo statuti e trattati europei anche con l'aiuto di altri colleghi della Cattolica – Ad esempio, come farebbe il Mes a conferire il capitale alla Bei per ricapitalizzarla dato che solo gli stati ne sono azionisti? Si sta pensando per caso di utilizzare come veicolo finanziario il Fei, il fondo europeo per gli investimenti? Ma tutto sommato sono punti che si possono risolvere”. In realtà, esiste già in parte una risposta visto che in una nota Intesa ha chiarito che l’aumento di capitale sottoscritto dal Mes sarebbe in azioni di "tipo B" della Bei, cui farebbero riferimento perdite e profitti di questa “sezione speciale” dell’istituto. Insomma, nascerebbe una “Bei Bis”.

 

In ogni caso, secondo l’economista della Cattolica è interessante il concetto che sta alla base della proposta di Intesa. Per due motivi. “Innanzitutto i prestiti della Bei non sono legati a una rigorosa condizionalità come sono quelli del Mes, perché, è inutile girarci intorno: la condizionalità leggera non è credibile e c’è ben poco di ideologico nel rifiuto di questa opzione da parte di alcuni governi, compreso il nostro. E il motivo è che il Mes funziona come una banca: concede prestiti in cambio di condizioni. Da qui non si esce. Il secondo motivo è che le risorse che arriverebbero dalla Bei a ciascun stato membro sarebbero ben maggiori di quelle che arriverebbero dal Meccanismo europeo di stabilità. All’Italia toccherebbero 100 miliardi a fronte degli scarsi 40 miliardi del Mes e anche con scadenza lunga e tassi molto bassi”. La Bei, infatti, gode di un merito di credito molto elevato (Tripla A) cosa che consente emissioni di capitali a tassi vantaggiosi.

 

Quest’ultimo aspetto, costituirebbe, secondo l’economista, un bel risparmio per la finanza pubblica rispetto all’alternativa di un finanziamento diretto sul mercato con scadenze più corte e tassi più elevati. “Se poi i prestiti Bei fossero indirizzati a spese infrastrutturali materiali e immateriali, l’impatto moltiplicativo del pil di ogni paese sarebbe molto forte. Anche questo aiuterebbe sul piano della sostenibilità futura del rapporto debito pubblico/pil”. Al di là di tutti i vari aspetti tecnici, questa proposta ha il merito di chiarire defintivamente che in base ai Trattati europei vigenti è molto difficile realizzare forme di mutualizzazione dei debiti sovrani, che per arrivare a dei veri e propri Eurobond c’è bisogno di passaggi tecnici che nell’attuale situazione di emergenza non c’è tempo di fare, ma che nel frattempo ci sono anche soluzioni alternative sui cui si potrebbe registrare una massima convergenza tra gli stati.