Un appello (con proposte) per uscire dalla stagione della burocrazia frenante
Efficienza, decisionismo, riqualificazione degli apparati. Non serve meno amministrazione. Serve più cura nel gestire il paese
Vi è diffusa consapevolezza che le conseguenze del coronavirus debbano essere fronteggiate con un articolato schema di interventi, nell’immediato diretti a ridimensionare il contagio e, contestualmente, a pianificare la ripresa. Di questa consapevolezza è prova la recente istituzione della task force presieduta da Vittorio Colao, chiamata a progettare un innovativo set di regole organizzative, relazionali, lavorative, tecnologiche, necessarie per consentire al Paese di ripartire in condizioni di sufficiente sicurezza.
Lo sforzo progettuale al quale l’intero paese è chiamato nelle prossime settimane può costituire l’occasione per avviare una riflessione, non meno urgente, sulle regole dell’amministrazione pubblica e, prima ancora, sullo stato, sui suoi apparati, sulle sue strutture tecniche, ai cui uomini va il senso di profonda gratitudine per l’abnegazione dimostrata in queste difficilissime settimane. Una delle lezioni vere che dalla crisi va tratta, infatti, è che si è caduti, a lungo e in molti, in una clamorosa incomprensione considerando l’Amministrazione pubblica come un nemico da combattere, anziché un’organizzazione di cui non è possibile fare a meno. Il problema se mai è nel grado di adeguatezza progettuale, gestionale ed operativa degli apparati amministrativi e dei corpi tecnici; un’adeguatezza senza la quale, però, qualsiasi strategia per la ripartenza non potrà decollare e in modo duraturo riuscire. Le difficoltà da affrontare nei prossimi mesi e anni confermeranno la necessità di un’Amministrazione pubblica fortemente rinnovata: sarà necessario gestire le nuove politiche sociali, assistenziali, educative, progettare e fluidamente gestire gli investimenti pubblici, elaborare strategie per la gestione di inevitabili crisi di impresa, per compensare gli spazi lasciati vuoti dal mercato, per stabilizzare e rilanciare alcune filiere produttive aggredite dalla crisi, riprogettare quindi il ruolo dello stato in economia, tutelare gli interessi nazionali da incursioni straniere. Nel campo strettamente sanitario, del resto, l’esperienza di queste settimane ha già indotto il governo e il ministro Speranza a mettere in campo un primo intervento progettuale, non solo finanziario, volto a riorganizzare le strutture e la rete del Servizio sanitario nazionale.
Anche per l’Amministrazione pubblica è necessaria quindi una strategia di interventi a più tempi, alcuni destinati ad affrontare in emergenza i prossimi mesi, altri da programmare con uno sguardo di medio termine. Un progetto possibilmente condiviso per l’Amministrazione pubblica, articolato in più fasi, ma elaborato in una logica unitaria ed organica.
Le misure emergenziali. Nell’immediato (fase 1), far operare, per una tempestiva e vitale ripresa, “misure di emergenza e in deroga”, se mai affiancate da un surplus di trasparenza. La disciplina emergenziale potrà essere in un primo tempo necessaria, se mai anche con l’obiettivo di sbloccare interventi da tempo fermi; ma non potrà essere sufficiente. Nel settore degli interventi pubblici e infrastrutturali, per esempio, “la ripresa non potrà passare solo da alcune grandi opere da progettare, appaltare ed eseguire in deroga”, ma anche dalla capacità del Paese intero di far partire e gestire, a regime e in modo duraturo, migliaia di interventi apparentemente minori, nei settori dei lavori come dei servizi: arduo (e per più ragioni non accettabile) pensare che possano essere gestiti tutti e a lungo in deroga.
Sburocratizzare le regole amministrative. Al periodo delle regole emergenziali dovrebbe seguire allora una “fase 2” nella quale “semplificare il sistema dell'apparato pubblico": sin d’ora sarebbe opportuno quindi progettare un ventaglio organico di interventi sulle procedure amministrative (aggredendo adempimenti e intralci superflui e comunque non proporzionati), sul sistema dei controlli (quanto meno coordinandoli meglio), su quello sanzionatorio (eliminando duplicazioni e sovrapposizioni), sul regime della responsabilità dei funzionari pubblici (provando a ridurre il rischio che gli stessi siano indotti ad assumere atteggiamenti di tipo difensivo). Anche questo è certo necessario, ma non può bastare; non basterà la sburocratizzazione dell’amministrazione pubblica da più parti proposta, di recente su questo giornale dal presidente Montezemolo (27 marzo) e da quattro professori di diritto amministrativo, intervenuti con specifico riferimento alle regole in tema di appalti pubblici (2 aprile).
Vi è un nodo a monte di tipo strutturale: al paese serve non meno Amministrazione, ma una rete organizzata e coordinata di strutture amministrative adeguate ad affrontare compiti complessi, quali che siano regole e procedure. Apparati amministrativi capaci non solo di operare e gestire, ma di progettare e guidare: dotati di competenze professionali e tecniche che consentano di elaborare una visione e una strategia, da mettere a disposizione di tutti, anche delle istituzioni politiche. Mutuando una riflessione del prof. Cassese (Amministrazione pubblica e progresso civile, RTDP, 2020), un’Amministrazione che possa essere “percepita” se non come forza trainante del progresso, almeno come forza che si muove di pari passo con questo e comunque non più come forza frenante (secondo il Rapporto Censis 2019, la fiducia dei cittadini nell’Amministrazione pubblica italiana è la più bassa (29 per cento) dei paesi europei dopo Grecia e Croazia, a fronte di una media del 51 per cento, con punte, tra i maggiori paesi, del 58 per cento in Francia e 67 per cento in Germania).
Curare e riqualificare gli apparati amministrativi e tecnici. E’ necessaria una fase 3, elaborando sin d’ora un “progetto realistico settore per settore”, mettendo a fuoco le grandi questioni da affrontare nei prossimi mesi e anni, verificando lo stato dei corpi amministrativi che se ne dovranno occupare, prendendo atto delle relative criticità, mettendo quindi in campo le misure di rafforzamento organizzativo, digitale, qualitativo, non solo quantitativo: un progetto per la cui definizione ascoltare tutti, dal mondo privato a quello pubblico, compreso il meglio che già oggi c’è nell’Amministrazione italiana, non mancando inoltre di valutare pregi e difetti delle corrispondenti strutture amministrative degli altri grandi paesi.
Un progetto che riguardi non solo le strutture oggi più esposte, dal servizio sanitario alla Protezione civile, ma anche per esempio quelle cui è affidata la formazione delle giovani generazioni (che già stanno pagando non poco il blocco scolastico di queste settimane), quelle ancora che si occupano della gestione del debito pubblico, del patrimonio azionario del paese, di elaborare le strategie dello stato imprenditore, della sostenibilità ambientale, del rafforzamento infrastrutturale del paese, degli appalti pubblici.
Con la consapevolezza, a quest’ultimo riguardo, che non è mai stato sufficiente (e continuerà a non esserlo) dotarsi di pure ingenti risorse finanziarie senza una riflessione sulla condizione delle strutture di progettazione e dei centri di committenza, sull’adeguatezza dell’attuale livello di polverizzazione, sulla relativa qualificazione e professionalizzazione, sulla disponibilità di economisti e tecnici, oltre che di giuristi, sulla opportunità che gli stessi centri continuino ad essere tutti generalisti, acquistando ciascuno qualsiasi cosa, piuttosto che sull’esigenza di introdurre forme di articolata e coordinata specializzazione. Senza mai rinunciare a presidi di prevenzione e di vigilanza, attesi gli incombenti rischi di infiltrazione delinquenziale, ancor più elevati in periodi di crisi.
Roberto Garofoli è Presidente di Sezione del Consiglio di stato