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La pioggia della liquidità vada alle imprese che hanno davvero sete

Carlotta De Franceschi

L'impegno del governo non ha precedenti, le risorse sono molte, ma ora devono arrivare efficacemente e rapidamente a più aziende possibili. Anche a quelle che, per ora, sono rimaste escluse

Che la liquidità messa a disposizione dal governo sia notevole e senza precedenti è indubbio. La criticità ora è rappresentata dalla capacità che questa avrà di arrivare efficacemente e rapidamente a più imprese possibili. Dato che la più ampia discussione in Europa e così pure il dibattito in Parlamento e con gli stakeholders coinvolti sono ancora aperti, si potrebbe usare questo momento importante per valutare di allargare la platea dei beneficiari del decreto a due gruppi di imprese rimasti per ora esclusi: le imprese che le banche definiscono “debitori la cui inadempienza è probabile” (i cosiddetti unlikely-to-pay o “UTP”) e le imprese ad alta crescita.

 

Il primo gruppo di imprese, generalmente supera le sue difficoltà con la ristrutturazione del debito o con la concessione di “nuova finanza” e se escluse dal provvedimento del governo rischiano di chiudere definitivamente. Uno studio del Cerved di marzo che ha preso come campione 720 mila società di capitali, responsabile per il 55% dell’occupazione da contratto dipendente, indicava che circa 186 mila, ossia il 26% di queste, avrebbero registrato un flusso di cassa negativo anche senza l’emergenza sanitaria. Cosa pensate che possa succedere a queste imprese e ai loro due milioni di lavoratori, già rischio prima dell’emergenza sanitaria, senza liquidità di emergenza? Queste aziende sono state escluse dal decreto in base alla normativa europea degli aiuti di stato. Nonostante la Commissione Europea sia intervenuta ad aprile per aprire ulteriormente le maglie di una normativa già resa temporaneamente più flessibile durante la crisi finanziaria, lo sforzo non è sufficiente. L’obiettivo di questa normativa è armonizzare la competizione fra imprese all’interno dell’Unione, ma in questo caso rischia di creare danni irreversibili non solo per il tessuto produttivo italiano ma anche per la sostenibilità del progetto europeo.

 

L’argomento principale da portare in Europa dovrebbe essere innanzi tutto politico. Le crisi bancarie in Italia sono state benzina per la fiamma antieuropea e populista, ma per quanto tragica le recenti crisi bancarie saranno una goccia rispetto a quella dell’economia reale che sta arrivando. Il secondo argomento dovrebbe essere economico: i crediti deteriorati in Italia rappresentano circa l’8% dell’attivo delle banche, contro circa l’1% della Germania. La fascia delle inadempienze probabili vale da sola 76 miliardi di euro. Questi numeri tuttavia non tengono conto di un fatto molto importante: negli ultimi cinque anni le banche italiane hanno ceduto ad operatori specializzati circa 165 miliardi di crediti deteriorati. Nonostante il credito ceduto nelle statistiche ufficiali sia figlio di un dio minore, la disattenzione della politica economica e della politica europea nei confronti di questi creditori sarà devastante.

 

Per quanto riguarda il secondo gruppo di imprese, invece, quelle ad alta crescita, non sono lasciate fuori dal provvedimento per legge ma di fatto. Queste imprese infatti normalmente si finanziano presso intermediari specializzati, con capitale, capitale ibrido o debito subordinato. Una soluzione potrebbe essere di estendere la garanzia ai prestiti erogati dai fondi di credito che, a differenza delle banche non rispondono a rigidi modelli, e possono essere il finanziatore naturale di questo tipo di realtà in un momento come questo. In una crisi come questa, che sta andando a colpire nel cuore più profondo il sistema produttivo, del commercio e dei servizi, il legislatore dovrebbe immaginarsi la provvista di liquidità come un grandissimo temporale estivo che porta rapidamente ed in grande quantità la pioggia ad ogni granello di sabbia, anche al più piccolo ed al più arido, e che la porta soprattutto a chi ha davvero sete.

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