La tragedia sociale o macelleria sociale urlata non è una nostra specialità giornalistica, siamo sempre stati diffidenti quando abbiamo scorto l’inganno ideologico dietro la falsa solidarietà sociale, le informazioni grottescamente apocalittiche, otto milioni di bambini poveri eccetera, le abbiamo doverosamente smascherate, e in generale non si può dire che siamo una tribuna di denuncia delle malefatte bancarie o della finanza. Anzi, all’inizio della crisi e della quarantena abbiamo pensato fosse giusto dire che stavolta la crisi è dell’economia reale e la finanza può essere, al contrario di quanto accaduto nel 2008 con tutti quei derivati andati a fuoco, il cavaliere bianco della salvezza liquida, finanziaria, delle attività industriali e commerciali e artigiane collassate. E ripetemmo un vecchio concetto già formulato al tempo della crisi greca: le banche sono quella cosa di cui tutti parlano male, d’accordo, ma quando i capitali non circolano più e i debiti sopraffanno la capacità finanziaria, il primo intermediario tra bisogni popolari e vita reale sono le banche, e la chiusura degli sportelli dimostrò che con queste istituzioni economiche e sociali non è saggio scherzare.
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