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Italia alla prova del rating, è l'ora dell'affidabilità "condizionata"

Mariarosaria Marchesano

In attesa del giudizio di S&P, l'analisi di Moody's apre uno spiraglio positivo ma detta le condizioni: ripresa a partire dal terzo trimestre, costo del funding basso (spread) e riduzione del debito. In caso di declassamento, scatta lo "scudo" della Bce

Milano. In attesa del rating di S&P sull'Italia previsto in serata, l'analisi di un'altra importante agenzia di rating, l'americana Moodys', aiuta a capire qual è il sentiment nei confronti del nostro paese tra le istituzioni internazionali che devono valutarne il merito di credito. "Sebbene la pandemia coronavirus stia causando un grave choc economico che spingerà il debito pubblico italiano a raggiungere livelli record quest'anno - spiega in una ricerca Kathrin Muehlbronner, senior vice president di Moody's - l'affidabilità creditizia del paese dovrebbe rimanere sostanzialmente inalterata data la natura temporanea della recessione e i continui bassi costi di finanziamento". 

 

L'analisi di Moodys' apre uno spiraglio positivo grazie probabilmente anche allo "scudo" offerto dalla Bce che fino al 2021 accetterà in garanzia i cosiddetti titoli "spazzatura". Anche nell'ipotesi di un declassamento, le obbligazioni italiane troverebbero comunque spazio nelle operazioni di negoziazione con la Banca centrale europea. Ovviamente, si spera che di questo paracadute non ci sia bisogno e che l'Italia continui a essere considerata "affidabile" sui mercati. Tuttavia, per Muehlbronner il mantenimento di questo status si basa su tre condizioni chiave. La prima è che l'economia cominci a riprendersi a partire dal terzo trimestre e non più tardi. La seconda che i costi di finanziamento (funding) si mantengano bassi per consentire al governo di gestire il suo livello di debito più elevato (il che, evidentemente, implica che lo spread con i Bund tedeschi si mantenga contenuto). La terza è che le autorità italiane presentino un piano fiscale a medio termine che ridurrà il debito nei prossimi anni. Tre condizioni difficili da prevedere in una fase in cui l'incertezza sulla ripartenza è ancora elevata e in che misura l'Italia potrà contare sull'appoggio dell'Europa per evitare che gli investimenti per la ripresa gravino sul bilancio pubblico.

 

E' un dato che il Recovery Fund non potrà essere attivato prima del 2021, come hanno messo in luce analisti e osservatori all'indomani del Consiglio europeo. I paesi dell'Unione hanno fatto registrare qualche progresso sulla formazione di una risposta fiscale condivisa al Covid ma non ha soddisfatto le attese dei mercati, come dimostra la reazione altalenante di oggi. Il fatto che l'importo del Fondo non sia stato quantificato, e manchino i dettagli delle modalità di finanziamento (quanto prestiti e quanto fondo perduto?) viene interpretata dagli investitori come un'occasione persa dall'Europa per mostrarsi coesa di fronte a un'emergenza. 

 

Secondo Moody's, l'Italia è entrata nella crisi del coronavirus con fondamentali creditizi più deboli rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell'area euro, avendo registrato una crescita debole nell'ultimo decennio e livelli di debito pubblico molto elevati. Le pressioni sul credito, dunque, potrebbero intensificarsi se la ripresa economica dell'Italia dovesse essere ritardata fino al 2021 o se fosse molto più debole del previsto, nonostante le misure del governo e della banca centrale europea. Le pressioni ammeterebbero anche "se il governo - spiega Muehlbronner - non riuscisse a presentare una strategia fiscale credibile per riparare le finanze pubbliche o se una mancanza di consenso a livello dell'Ue dovesse indebolire la credibilità dei politici e portare a costi di prestito più elevati".

 

Sebbene Moodys' si aspetti che il debito italiano si stabilizzi al 150 per cento del pil quest'anno, un recupero più lento o "uno choc di responsabilità" potenziale potrebbe spingere la traiettoria del debito verso livelli significativamente più alti.

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