Milano. “Il coronavirus si sta dimostrando uno choc significativo per le nostre economie. Le banche devono essere in grado di continuare a finanziare famiglie e imprese in difficoltà temporanee. Le misure di vigilanza concordate oggi mirano a sostenere le banche nel servire l’economia e nel far fronte alle sfide operative”. Era il 12 marzo quando Enrico Enria, il capo della vigilanza della Bce, integrava il pacchetto anti Covid dell’Eurotower, con una nota che passò sotto traccia a causa del clamore suscitato dalla famosa gaffe di Christine Lagarde sugli spread. Ma c’è chi se ne ricorda perfettamente perché quella indicazione di “allentamento” della pressione sulle banche avrebbe dovuto creare le condizioni per far arrivare la liquidità nel più breve tempo possibile al sistema produttivo che stava entrando in lockdown. “Sa, invece, come si è tradotta nella pratica quella indicazione? – dice al Foglio Mario Comana, economista dell’Università Luiss esperto di gestione bancaria - Con un rinvio degli stress test e altre misure di alleggerimento sul capitale, ma nessun automatismo è stato introdotto per gestire la moratoria dei prestiti e le nuove erogazioni alle imprese. Le banche sono obbligate a istruire e a valutare ogni singola pratica con una responsabilità penale in capo ai funzionari”. In pratica, le istruzioni operative che ha dato l’Autorità bancaria europea successivamente all’annuncio di Enria non hanno sollevato gli istituti di credito dall’onere di classificare come potenziali sofferenze di bilancio i prestiti erogati durante l’emergenza Covid né, ovviamente, si poteva prevedere un’eccezione per l’Italia che ha deciso di utilizzare le garanzie statali. “Diciamo che l’Eba avrebbe potuto fare di più, come, per esempio far slittare di sei mesi o un anno la classificazione dei finanziamenti. Questo avrebbe consentito di ridurre drasticamente la complessità della valutazione fatta dalla banca e di velocizzare i tempi”.
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