Cosa c'è in ballo nella sfida finale lanciata da Intesa su Ubi
I valori che cambiano, gli equilibri del sistema, i progetti di Messina e le altre partite nascoste dietro le quinte dell’operazione
Milano. Con una maggioranza bulgara alle spalle, Carlo Messina, consigliere delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo, ha dato ieri inizio alla creazione della settima banca europea per generazione di ricavi e terza per valore di Borsa, un gigante arroccato nelle regioni più ricche di risparmio, al centro di quel tessuto di pmi, per lo più orientate all’export, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia del Belpaese. Un’impresa che in passato non è riuscita alla “Galassia del Nord” sognata da Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi ma che oggi, sotto i cieli della pandemia e il rischio della “svendita” del paese, nasce con una benedizione quasi ecumenica (quasi) per il banchiere del sistema Italia. Ieri, infatti, sulle base delle intenzioni di voto raccolte in settimana dal Rappresentante designato, il 98 per cento dei soci della banca presenti (a loro volta il 52 per cento del capitale) ha approvato la proposta di aumento di capitale che servirà per l’acquisto di Ubi, un blitz maturato all’insaputa di Giovanni Bazoli, il padre nobile sia di Intesa sia dell’istituto bersaglio, presentata come operazione amichevole o comunque non ostile, ma osteggiata da buona parte degli azionisti della banca oggetto dell’offerta, radunate nel Car, il cartello dei soci bergamaschi che rappresenta quasi il 20 per cento del capitale, tra cui spicca il numero uno di Brembo Alberto Bombassei. Ma nemmeno la possibile guerriglia di bergamaschi, bresciani e valli cuneesi sembra in grado di ostacolare il blitz anche se, a scanso di sorprese, si è deciso che l’offerta pubblica di scambio tra le azioni di Intesa e Ubi sarà valida anche se approvata solo dal 50 per cento più un voto dell’ex Popolare e non dai due terzi come proposto in precedenza. Resta il fatto che l’operazione, annunciata pochi giorni prima dello scoppio dell’epidemia (che ha provocato un brusco calo dei titoli bancari), non è cambiata con l’emergenza: saranno emesse, come previsto, 1,94 miliardi di nuove azioni al servizio dell’Ops, nella misura di 17 azioni del nuovo gruppo ogni dieci azioni Ubi.
Certo, cambia la valorizzazione di Ubi, stimata 4,9 miliardi di euro prima della caduta dei prezzi, ma non il rapporto con Intesa che è scesa in egual misura. Nessuno ha abbozzato l’idea di un rilancio. Solo Crédit Agricole, altra vecchia conoscenza di Intesa, ha abbozzato un timido segnale di interesse, ma presto rientrato. E Messina ha avuto l’accortezza di garantirsi l’appoggio di Mediobanca, artefice dell’accordo tra Intesa e Bper, che rileverà dopo la fusione 500 sportelli di Ubi. Ma il vero asso nella manica della “banca di sistema” sta nei numeri. Tra marzo e aprile Intesa ha erogato oltre 2 miliardi in nuovi finanziamenti alle pmi a fronte di quasi 14 mila richieste. Ha concesso circa 180 mila sospensioni di finanziamento per un controvalore di circa 22 miliardi a favore di imprese e famiglie, ed è pure intervenuta nella realizzazione dell’ospedale da campo degli Alpini a Bergamo. “Abbiamo predisposto a fronte delle esigenze di liquidità delle imprese un plafond di 50 miliardi”. E nel futuro, ha aggiunto Messina, “sono previsti 10 miliardi di crediti aggiuntivi, senza alcuna revoca dei fidi concessi. Garantiremo la valorizzazione del personale Ubi, che manterrà piena autonomia nell’erogazione del credito a livello locale. Rafforzeremo queste aree grazie all’assunzione di 2.500 giovani”. E assieme alle promesse ai dipendenti e quelle ai territori, ci sono quelle agli azionisti, a partire dalle Fondazioni: “Saremo in grado di portare la nostra capacità di remunerare gli azionisti in maniera significativa e sostenibile con dividendi distribuiti, pari a circa 13,5 miliardi in 5 anni, senza considerare i 3,4 miliardi di dividendi a valere sull’utile 2019, la cui distribuzione è stata sospesa sino a ottobre raccogliendo le raccomandazioni della Bce”. Ma la partita più importante relativa l’operazione è forse un’altra: dimostrare che l’offerta su Ubi farà bene anche a tutto il sistema bancario italiano.