Il mercato di piazza Vittorio, 17 aprile 2020 (foto Cecilia Fabiano/LaPresse)

L'Italia ha dato il massimo sul contenimento, ma ora ciò che conta è la fase 4

Giuseppe De Filippi

Il difficile delle fasi 1 è nell’avviarle al momento giusto. La strategia successiva è più complicata, perché tutto va graduato

Le fasi 1, lo abbiamo imparato, sono difficili da avviare, ma poi, levato il dente, si direbbe, sono facili da gestire. Ovviamente per una durata definita e non superiore a qualche settimana. Il blocco totale, qui sul Foglio è stato scritto, è questione di ordine, disciplina e controllo. Il tutto coadiuvato dalla paura (teniamocela da parte perché dopo ne riparliamo). Regole rigide, diritti compressi o peggio spacchettati e sottoposti a dichiarazione veritiera, pena un’ammenda o cose peggiori. Tutto ne è stravolto, ma proprio perché tocca a tutto e a tutti nessuno s’ingrugna (come nel noto detto romano). E non s’ingrugna neanche la Costituzione, obiettivamente un po’ strattonata in questi giorni. Il difficile delle fasi 1 è nell’avviarle al momento giusto. L’Italia ha fatto male? E’ partita presto rispetto al resto d’Europa ma forse tardi rispetto al sufficiente accertamento del pericolo. E’ vero anche che la più straordinaria serie di misure di contenimento della storia repubblicana l’ha dovuta prendere un governo che aveva giurato quando a Wuhan il virus probabilmente già si stava scaldando a bordo campo, e che è nato, il governo, come sottoprodotto di un’ubriacatura e come prodotto di un’intuizione. Adesso sì, abbiamo imparato che esistono le pandemie.

  

In passato, da chi è giovane a chi è più vecchiotto, ne avevamo sentito parlare e, soprattutto, le avevamo viste in tv, e quella distanza apparente è stata un bel guaio. La Sars era esotismo e oriente. Nessuno qui ricorda che era stato un medico italiano, Carlo Urbani, un eroe o, vista la retorica di questi giorni e per mantenere le proporzioni, un super eroe, a salvare il Vietnam dalla Sars perché aveva capito che quel virus era molto pericoloso ed era riuscito a convincere, lavorando per un programma sanitario mondiale, le autorità locali ad ascoltare le sue rigide prescrizioni. Perdendo la propria vita su quella frontiera anti virus. Ma da qui la Sars l’avevamo vista in tv, scoprendo paure e mascherine e distanziamento, no anzi di quello non se ne parlava neanche tanto, da brevi servizi. Si girava pagina e si passava ad altro. Era roba di quelle parti del mondo. Ci si avvicinava con la Mers, ma quella, più vicina anche cronologicamente, ha avuto meno risalto. Due mesi fa sarebbe stato davvero difficile fermare qualcuno per strada che sapesse cos’era. Eppure sono tutte sindromi respiratorie gravi e contagiose e che hanno mietuto vittime. Ma, ecco l’inghippo, non erano arrivate qui. Allora, qualunque decisore politico, scegliete poi il vostro preferito e fate un esperimento mentale, di fronte alla nuova ondata di notizie e immagini dall’Asia, con virus e gente con mascherina e città chiuse, avrebbe scommesso su un esito che replicasse quello delle sindromi precedenti. Invece questa volta è arrivato il virus. E dopo le spiegazioni sono fioccate, prima invece latitavano.

 

Allora avviare la fase 1, proprio 1 in assoluto perché in Italia mai ce ne erano state, non era proprio una cosina. Certo, c’era stata la nave da crociera, quella del bravo comandante italiano, elegante e corretto, sceso per ultimo e sereno durante tutta la quarantena. E lì a bordo, davanti alle coste del Giappone, succedevano cose preoccupanti. Ma erano per primi i giapponesi (ancora innamorati delle loro olimpiadi) a tenere la cosa sotto traccia. Eppure i nostri virologi, va riconosciuto a Roberto Burioni, avevano capito che lì c’era qualcosa di strano, di insolito, soprattutto nella contagiosità. E in quei giorni segnalavano anche, ricorderete che ci fu un piccolo dibattito scientifico, il problema fondamentale, quello del contagio da asintomatici. Mentre nei primi giorni si era puntato tutto, come da prassi, su controlli preventivi di temperatura e sintomi di problemi respiratori o anche di semplice tosse. La svolta è arrivata con la comprensione accertata del ruolo degli asintomatici. Ma non ha fermato gli errori, con il tunnel micidiale dell’ospedalizzazione, eppure ricorderete che da subito, oltre a lavarsi le mani e starnutire nel gomito, si diceva di “non andare al pronto soccorso”. Per dire che i percorsi separati per i pazienti Covid erano qualcosa di logico ed erano prassi nei reparti di malattie infettive, e non si è capito perché Covid, durante i giorni peggiori, non è stata trattata come malattia infettiva. Con tutte le terribili conseguenze, ad esempio, nelle case di riposo.

 

La fase 2 è più complicata, perché tutto va graduato. In Italia sta prevalendo un certo rigido schematismo, che però non è proprio da buttar via. Intanto c’è stata una buona capacità di mantenimento dei servizi essenziali, senza inceppamenti nell’agroalimentare, nella distribuzione, nei servizi a rete essenziali, nei trasporti, nella produzione farmaceutica. Ora lo schema prevede priorità al lavoro produttivo, alle fabbriche e alle officine. E poi, con un po’ di meccanicismo che forse non rappresenta esattamente il sistema della moderna distribuzione, si apriranno i negozi (non alimentari, quelli sono già aperti). E dopo ancora i servizi alla persona e la ristorazione e l’intrattenimento. Servirà collaborazione (che male c’è a chiedere ai cittadini di essere responsabili?), idee e senso pratico oltre al buon senso. Fare danni è facilissimo, toccando equilibri sociali ed economici consolidati. Evitare i danni è più difficile. Può riuscirci solo quella cosa che veniva evocata solo per schierarla nelle competizioni politiche, la società civile. Allora, levate o lasciate il civile, ma serve tanta società. Dalle associazioni alle rappresentanze d’impresa, dai sindacati (hanno fatto tanto per negoziare rapidamente le condizioni sicure di lavoro) alle professioni. Ma finiamo con la paura. Come sempre è un’alleata e una nemica assieme. Nella fase 2 ci accompagnerà e sarà più eccitabile. Un segnale di ripresa del contagio e sarà moltiplicata. Si specializzerà come paura dell’altro. Già venir fuori da questi mini lockdown regionali esigerà un superamento di paure (con laziali spaventati dai toscani e viceversa a ripetizione tra tutte le regioni). Andrà tutto lentamente, è l’unico modo per rimettere davvero le cose al loro posto.

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