(foto LaPresse)

Ricostruire il paese secondo chi lo costruisce: qualche idea

Gabriele Buia*

Il presidente di Ance: “È ora di passare dagli annunci all’azione. Senza una drastica semplificazione delle procedure ordinarie nessun piano infrastrutturale di nuove opere o di manutenzione si potrà realizzare”

Al direttore - A detta di tutti, politici, economisti, opinionisti, operatori, il settore delle costruzioni è l’asse strategico sul quale puntare nei prossimi mesi per far ripartire l’economia e uscire da questa crisi. Ma finora si tratta solo di buoni propositi e belle parole. Le spiego perché. Come ho scritto qualche giorno fa in una lettera molto franca e diretta al presidente Conte: “Così proprio non va”. L’edilizia, dopo oltre 10 anni di crisi e di politiche sbagliate che ne hanno frenato la capacità produttiva e occupazionale, non può più accettare passi falsi. Per questo dopo le prime misure contenute nel “decreto Cura”, dopo gli strumenti previsti nel “dl liquidità” (purtroppo solo indebitamento), lette le deludenti previsioni contenute nel Def 2020 ho deciso di rivolgere al premier un appello al coraggio affinché si compiano scelte innovative ed efficaci indirizzate alla crescita e non a penalizzare le imprese. Gran parte delle decisioni che sono state prese in questi anni vanno, infatti, nella direzione opposta di addossare sulle imprese di costruzione sempre più balzelli, adempimenti, norme punitive, misure farraginose che hanno contribuito alla crisi e alla perdita di occupazione. Ecco qualche esempio che il suo giornale ha spesso raccontato in questi anni. Come si è agito per arginare la crisi finanziaria? Più tasse sulla casa, meno credito per famiglie e l’edilizia messa in ginocchio dall’effetto combinato di stretta creditizia e taglio degli investimenti pubblici. Come si combattono la corruzione (senza peraltro distinguere tra quella percepita, altissima, e quella reale, notevolmente inferiore) e l’evasione fiscale? Nel primo caso, si legifera come se tutti fossero colpevoli a cominciare dagli imprenditori, si insedia un’Authority anticorruzione e si getta una scure di sospetto su ogni movimento dell’impresa e su ogni atto della Pubblica amministrazione: la fuga dalla firma dei dipendenti pubblici (anche per non incorrere nel danno erariale e nell’abuso d’ufficio) è stato il primo effetto di questa caccia alle streghe. Risultato: il paese in stagnazione. Nel secondo caso, si decide di scaricare sulle spalle delle imprese tutto il peso della lotta all’evasione: lo split payment ne è l’esempio lampante. Un meccanismo pensato dallo stato per controllare il versamento delle imposte che ha finito per drenare 2,5 miliardi di liquidità alle imprese. Gli esempi sono infiniti. Abbiamo il costo del lavoro più alto di tutti i settori industriali, un groviglio di norme affastellato e stratificato in continuo cambiamento che ci costringe a pagare più avvocati che ingegneri. Facciamo i poliziotti dei nostri cantieri: non ci può o ci deve sfuggire nulla altrimenti ne rispondiamo civilmente e penalmente e veniamo espulsi dal mercato. Manca solo la pubblica gogna. E ora con il dl “Cura Italia” rischiamo anche di diventare i presunti responsabili del contagio, visto che con l’estensione anche al nostro settore dell’equiparazione del contagio all’infortunio sul lavoro potremo anche essere chiamati a risponderne direttamente, nel disgraziato caso che un nostro dipendente si ammali di Covid-19. Senza contare che in questi giorni anche sulle misure di sicurezza e i dispositivi sanitari utili alla ripartenza stiamo assistendo a un rimpallo di responsabilità (non crediamo possa continuare il proliferare di commissioni tecniche), a una frammentarietà e a una confusione di disposizioni, delibere, protocolli diversi da regione a regione, da settore a settore e da partito a partito. Uno spettacolo indegno. Il presidente del Consiglio ha annunciato ieri alle Camere che nei prossimi decreti legge ci sarà un piano per le infrastrutture e il potenziamento degli incentivi fiscali per promuovere interventi di manutenzione degli edifici in chiave di sostenibilità. Benissimo! E’ ora però di passare dagli annunci all’azione. Senza una drastica semplificazione delle procedure ordinarie nessun piano infrastrutturale di nuove opere o di manutenzione si potrà realizzare nel nostro paese: o pensiamo di continuare ad affidare la realizzazione delle opere solo a supercommissari, ammettendo in questo modo il fallimento delle regole ordinarie? Non si può pensare a una statalizzazione del settore, né tanto meno è possibile riesumare vecchi modelli di aziende di stato che certo non hanno dato buona prova di sé negli anni passati. Ognuno faccia il suo lavoro. Allo stato chiediamo solo strumenti in grado di farci lavorare. Il lavoro facciamolo fare alle imprese che lo sanno fare, come hanno dimostrato ampiamente, se messe in condizione, in Italia e nel mondo.

 

*Gabriele Buia, presidente nazionale Ance 


 

Servirebbero regole chiare come è successo a Genova, appalti veloci, semplici, diretti, derogando al codice degli appalti, anche a costo di strozzare per un periodo la concorrenza, e servirebbe uno stato disposto a lavorare verso due direzioni: non fare dell’immobilismo l’unica forma di legalità consentita e smetterla di considerare l’imprenditore un soggetto più da spremere che da valorizzare. La stagione che si apre dovrà valorizzare il meglio di ciò che offre il mercato e il meglio di ciò che offre lo stato. E la vera fase 2, se vogliamo, parte proprio da qui.

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