Puntare sui privati
Il governo sostenga con tutte le sue forze gli strumenti privatistici per aiutare chi è in difficoltà. Tre idee
Le conseguenze economiche della grave pandemia saranno estremamente pesanti. Molti degli occupati “sospesi” per effetto delle misure di lockdown, stimati in circa 8 milioni, non beneficiano di strumenti di protezione sociale, dalle indennità di malattia a forme di integrazione del reddito. In questo contesto un ruolo da protagonista nella ricostruzione del paese è assegnato alle misure pubblicistiche di liquidità, pur con le tante fragilità del bilancio pubblico nazionale. In tale direzione si muovono i due decreti “Cura Italia” varati dal governo. I provvedimenti messi in campo non pare però che investano abbastanza in misure di supporto di natura privatistica, che potrebbero invece costituire utili strumenti in grado di migliorare il benessere collettivo. Questo potenziale va invece utilizzato, nella consapevolezza che il luogo in cui si crea ricchezza è il libero scambio di mercato. I campi di intervento sarebbero molti: il diritto del lavoro, il diritto dei contratti, il diritto delle nuove tecnologie, il diritto degli enti (in particolar modo degli enti del terzo settore che stanno svolgendo una centrale funzione di supporto in questa fase acuta della pandemia), il diritto della crisi d’impresa e della crisi da sovraindebitamento. Questo contributo è focalizzato su tre proposte di intervento.
La prima ha l’obiettivo di fornire una sorta di assicurazione in favore del debitore meritevole che si trovi in una condizione di sovraindebitamento prodottasi successivamente all’applicazione delle misure di contrasto alla diffusione del virus. Più nel dettaglio, si potrebbe prevedere, in via straordinaria, che il debitore persona fisica meritevole che sia caduto in condizioni di povertà o di deprivazione economica a causa del fenomeno pandemico e che non sia in grado di offrire ai creditori utilità rilevanti possa liberarsi dai propri debiti all’esito di uno snello procedimento giudiziale diretto ad accertare la condizione di meritevolezza, la causalità tra lo stato di difficoltà e la pandemia e l’assenza di risorse rilevanti con cui soddisfare i creditori. Rimarrebbe fermo l’obbligo del debitore liberatosi dai propri debiti di provvedere al pagamento dei creditori qualora entro un definito lasso temporale successivo sopravvengano utilità tale da superare la soglia di rilevanza. La proposta, che intercetta ineludibili esigenze di solidarietà sociale potrebbe consentire a molte persone, spesso escluse da ogni strumento pubblico di protezione e ridotte in grave difficoltà economiche dalla pandemia, di ripartire. E’ una misura di cura materiale dei meno fortunati che avrà dei costi, ma è necessaria.
La seconda proposta muove dalla necessità, da più fronti condivisa, di assicurare nuovi finanziamenti alle imprese. Potrebbe andarei in questa direzione, riconoscendo ai “prestiti Covid” la prededuzione in caso di successivo fallimento (cioè collocandoli in cima alla graduatoria dei creditori). L’obiettivo è fare in modo che le banche immettano nuova liquidità nelle imprese vitali ravvisandone la convenienza e non perché esiste un aiuto di Stato. Per evitare abusi, il privilegio dovrebbe sorgere a seguito di autorizzazione giudiziale e purché un professionista indipendente nominato dal debitore attesti che il finanziamento è necessario per superare lo stato di difficoltà economico-finanziaria prodottosi successivamente all’adozione delle misure di contrasto e contenimento dei rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid-19. La prededuzione opererebbe nel caso in cui il fallimento dell’impresa sopravvenga entro un predeterminato periodo di tempo dall’autorizzazione giudiziale, tale da assicurare un nesso logico-funzionale tra l’operazione autorizzata e la migliore soddisfazione dei creditori. Le operazioni di finanziamento autorizzate dovrebbero essere escluse dalla revocatoria fallimentare ed estranee al perimetro applicativo dei reati di bancarotta semplice e preferenziale. Sembra poi che i provvedimenti governativi di proroga dei finanziamenti in scadenza e di sospensione delle rate su mutui e finanziamenti abbiano trascurato di intervenire sui termini di pagamento dei crediti commerciali. Si tratta di una questione delicata in considerazione dei molteplici effetti “a cascata”. Una proroga potrebbe però prevedersi quantomeno per il pagamento dei crediti commerciali oggetto di anticipazione da parte delle banche e non in sofferenza al momento di adozione delle misure di contenimento della diffusione del virus. Un terzo sentiero d’intervento potrebbe affrontare i casi in cui si verificano eventi che alterano l’equilibrio dei contratti di durata. Ci si riferisce a quei contratti nei quali le parti si sono impegnate ad adottare dei comportamenti che si sviluppano nel tempo.
Occorre offrire strumenti che consentano alla parte colpita dalla crisi in corso di sottrarsi all’alternativa tra il mantenimento del rapporto alle stesse condizioni economiche pattuite prima della pandemia e il suo scioglimento, con conseguente perdita di beni o servizi spesso essenziali. Mi riferisco ad esempio al contratto di locazione concluso prima del fenomeno pandemico e divenuto economicamente insostenibile per lo sfortunato inquilino. Vanno introdotti strumenti che forniscano chiare soluzioni “di manutenzione” ossia di conservazione del vincolo, mediante un adeguamento delle regole del contratto alle nuove condizioni di mercato. Va riconosciuto alla parte debole il diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto e, in caso di mancato accordo, la decisione del giudice che potrà ricondurre il rapporto al suo originario equilibrio ovvero scioglierlo. Già nella fase di rinegoziazione le parti potrebbero chiedere l’assistenza di un organismo di mediazione. Le esigenze sottese a questa proposta sono state recepite nella recente riforma del codice civile francese e risultano soddisfatte nei principi sui contratti commerciali internazionali redatti dall’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato.
* Carmelo Barbieri è giudice della Sezione civile al tribunale di Milano