Così non si riparte

Giuseppe De Filippi

L’Inail conta 37 mila malati di Covid come infortunati sul lavoro. Serve saggezza, non un diluvio penale e risarcitorio

Applicare regole ordinarie a una situazione straordinaria non è un segno di saggezza o di tenace coerenza, ma può essere un tuffo nella ingovernabilità della situazione durante e dopo la pandemia. Lo fa l’Inail quando inserisce tra i morti sul lavoro 129 casi dovuti a Covid e rilevati dal 21 aprile a oggi, da aggiungere ai 33 stimati nelle prime settimane dello stato di emergenza, decessi avvenuti soprattutto, ma non solo, tra chi lavorava in strutture sanitarie. E ancora l’Inail conta 37.352 contagiati tra fabbriche, uffici, aziende, 9.000 in più rispetto alla precedente rilevazione sempre del 21 aprile. Si va avanti così, contando secondo regole ordinarie e predisponendo un futuro di enorme complessità legale. L’esito sarebbe uno schema in cui tutti devono risarcire tutti. Escludendo i comportamenti dolosi, in cui si possa provare che sia stata taciuta la conoscenza di una specifica condizione di pericolosità, sembra una forzatura l’attribuzione di responsabilità oggettive per contagi durante una pandemia a carico del datore di lavoro o di chi dirige un ufficio pubblico.

 

Chi ha aperto o ha dovuto tenere aperto lo ha sempre fatto con accordi sindacali e con la vigilanza pubblica delle regole. Impegnandosi al rispetto dei principi generali di prudenza e di sicurezza rispetto al rischio di contagio ai quali si atteneva il resto della popolazione. I nuovi protocolli con cui si sta avviando l’ondata di riaperture della fase 2 sono certamente più accurati, perché si rivolgono a un maggior numero di lavoratori, ma non differiscono in modo troppo significativo dall’autoregolamentazione seguita da chi ha tenuto aperto, mandando avanti il paese nei servizi essenziali. Per alcuni casi, come quello dell’alimentare e del farmaceutico, i protocolli abituali di sicurezza riguardo a virus e batteri sono anche più stringenti di quelli che si stanno prevedendo ora. Dare il via, con quella che sembra una forzatura ex post, a un diluvio penale e risarcitorio avrebbe conseguenze negative per l’intera ripartenza. All’Inail compete invece il compito enorme di lavorare per ristabilire, nella sicurezza, la fiducia nei luoghi di lavoro. Una pandemia è una condizione generale, collettiva, che impatta l’intera società. Tagliarla a fettine per stabilire colpe specifiche sarebbe una negazione assurda proprio del dramma che stiamo attraversando.

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