Perché la Ragioneria dello stato frena sulla Cig nel Dl Rilancio
Il decreto punta a raddoppiare la cassa integrazione da 9 a 18 settimane ma non ci sono le risorse. La Cisl parla di "errore clamoroso e grave". Spadafora (Confapi): il governo scarica nuovi costi sulle aziende che dice di voler aiutare
Milano. C'è un buco di almeno due mesi di cassa integrazione nell'ultima bozza del Dl Rilancio (circolata domenica 10 maggio) che ha messo in grande allarme il mondo delle imprese. Una svista dei ministeri, forse, o una necessità dettata dall'esigenza di far quadrare i conti dell'Italia quando la coperta è corta. Ma le conseguenze che ne deriverebbero per tante aziende in crisi per l'emergenza Covid sono talmente serie, se passasse questa versione del decreto, da spingere anche il segretario nazionale della Cisl, Luigi Sbarra, a parlare di "errore grave e clamoroso". In pratica, in tre diversi articoli del Dl (71, 73 e 83) si prevedono due cose che messe insieme produrrebbero tutt'altro che un sostegno al mondo produttivo. E cioè, da un lato si allunga il divieto di licenziamento da 60 giorni a cinque mesi, dall'atro si raddoppia la cassa integrazione da 9 a 18 settimane ma si frazionano i tempi per il suo utilizzo creando un intervallo "scoperto" da sussidi.
"Sovrapponendo questi due provvedimenti si ottiene un periodo di due-tre mesi in cui il costo del lavoro risulta completamente a carico delle imprese invece che dello stato che dice di volerci aiutare", spiega al Foglio Nicola Spadafora, presidente della Confapi Milano, che si dice "esterrefatto" dalle ultime bozze del Dl Rilancio. L'ultima versione del 10 maggio è stata integrata proprio oggi (11 maggio) da una raccomandazione della Ragioneria generale dello stato che chiede di contenere l'aumento della cassa integrazione a 14 settimane, "a riprova del fatto che lo stato non ha risorse per far fronte a quest'emergenza oppure che non sta concentrando gli sforzi sul settore produttivo", dice Spadafora.
La vicenda è un po' complessa e rincorrere le varie versioni dei decreti in genere non è un esercizio produttivo, ma in questo caso è la spia che qualcosa non quadra, come conferma al Foglio un giuslavorista che sta seguendo l'evolversi dei provvedimenti e che chiede l'anonimato. Il calcolo è presto fatto: il divieto delle imprese di licenziare per la crisi Covid viene esteso fino al 17 agosto invece che terminare il 17 maggio. Parallelamente, le settimane di cassa integrazione vengono portate da 9 a 18 (o a 14 come chiede la Ragioneria per mancanza di coperture), ma le aziende più colpite dal blocco - si pensi al settore turistico e della ristorazione - a metà giugno, se non prima, avranno già esaurito la prima tranche di Cig prevista e per accedere alla seconda devono aspettare il primo settembre affrontando un'estate di ricavi ridotti o addirittura azzerati. "In questo modo - dice Spadafora - si scaricano dai due ai tre mesi di costo del lavoro su aziende che non sono in grado di sostenerlo vuoi perché la loro capacità produttiva è stata compromessa dal blocco vuoi perché in estate avranno nuove regole di distanziamento da rispettare". L'unica alternativa per loro sarebbe licenziare ma non possono neanche farlo senza incorrere in sanzioni.
Insomma, risulta comunque un controsenso che in una manovra che dovrebbe essere improntata al rilancio economico, con uno stanziamento di 55 miliardi di euro in deficit, si chieda alle imprese di sostituirsi allo stato nel sostenere l'occupazione anche se per un periodo breve. "Spero che a quest'errore venga posto rimedio, ma temo che non sarà facile perché bisognerà trovare nuove coperture - conclude Spadafora - Sarebbe stato molto meglio riflettere sulla nostra proposta di compensare crediti e debiti con l'agenzia delle entrate, cosa che si sarebbe tradotta in nuova liquidità per le imprese senza gravare sui conti pubblici".