Più regolarizzazioni, più lavoro nero: falsa relazione
La sanatoria degli stranieri irregolari nell’emergenza coronavirus trova molti d’accordo, ma non il M5s. L’esempio del 2002
La pandemia ha cambiato tutto. Anche in politica, che si divide su proposte fino ad alcuni mesi fa inimmaginabili. Uno degli esempi più cristallini è la proposta di regolarizzazione degli stranieri irregolari presenti sul territorio italiano, poco più di 600mila secondo le ultime stime. Fino ad alcuni mesi fa nemmeno i partiti più sensibili al tema dell’integrazione avevano l’ardire di mettere sul tavolo la sanatoria degli irregolari, nemmeno una volta arrivati al governo. Eppure di regolarizzazione degli stranieri irregolari si discute, fin da quando Il Foglio è stato tra i primi a proporlo. Tanto che il tema è stato adottato come identitario da Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura, che lo ha fatto suo nel nome della lotta al caporalato, alla povertà, della tutela della salute pubblica e del salvataggio del raccolto estivo. È una narrazione che funziona se anche un conservatore come Alessandro Sallusti si è detto d’accordo sulla regolarizzazione di alcuni stranieri irregolari che lavorano nell’agricoltura per garantire manodopera agli imprenditori. Ma non tutti, anche nel governo sono d’accordo: c’è chi ritiene, come il Movimento 5 Stelle, che la regolarizzazione degli stranieri potrebbe, all’opposto di come ritengono i più, condurre a una maggiore diffusione del lavoro nero. È un’ipotesi plausibile?
Il raccolto a rischio
In estate in effetti si rischia di dover rinunciare alla raccolta di frutta, pomodoro, frumento, orzo e ortaggi dai campi per via dell’assenza di manodopera solitamente fornita da stranieri lavoratori stagionali, che non potranno – o vorranno – raggiungere l’Italia per via della pandemia in corso. Secondo la Coldiretti sono 370mila gli stranieri regolari che ogni anno raggiungono il nostro paese per il raccolto, e senza di loro sarebbe a rischio un quarto dell’agroalimentare made in Italy. Lavoratori rumeni, marocchini, indiani, albanesi, senegalesi, polacchi che non potranno fornire quel 27 per cento di giornate di lavoro necessarie per il settore come hanno fatto fino all’anno scorso. L’Inps stima una percentuale di poco superiore il 33 per cento. Ovviamente stiamo parlando dei soli contratti regolari.
“Più regolarizzazioni, più lavoro nero”
Tutti d’accordo quindi? No, perché la politica non esiste senza contraddizioni. Il Movimento 5 Stelle, tramite le parole del reggente Vito Crimi, si è detto contrario. E perché? La sua dichiarazione merita di essere letta nella sua interezza: “le ipotesi in campo” – secondo Crimi – “che prevedono la concessione di permessi di soggiorno temporanei a immigrati irregolari, non aiutano l'emersione di lavoro nero, tutt'altro. Perché se noi concediamo uno status di regolarizzazione a chi è in Italia illegalmente, consentiamo a queste persone di continuare a svolgere lavoro nero ed essere oggetto di sfruttamento. Massima disponibilità alla lotta al lavoro nero” - ha concluso – “ma non accetto che vengano dati dei permessi di soggiorno temporanei perché è lì, appunto, che si insidia il lavoro nero. Emersione del lavoro nero e lotta al caporalato sono sempre stati i nostri cavalli di battaglia e continueremo a fare tutto ciò che serve ed è utile in questo senso che siano italiani o stranieri: il tema non è la regolarizzazione degli immigrati irregolari ma l'emersione del lavoro nero".
Tutto chiaro, no? Il Movimento 5 Stelle è per l’emersione del lavoro nero e la lotta al caporalato, ma contro la regolarizzazione degli stranieri irregolari che lavorano nei campi. Questa però è un’enorme contraddizione. Perché per uno straniero irregolare non è possibile lavorare in modo legale, con i diritti del contratto e pagando imposte e contributi. Non si tratta di una scelta, ma di necessità. Per chi arriva in Italia in modo illegale e non riceve la protezione per motivi umanitari, sussidiari o per lo status di rifugiato, oppure vi entra con un permesso che poi scade, oppure ancora chi perde il lavoro e non trova nell’arco di un anno un altro contratto regolare che gli possa prolungare il permesso di soggiorno, non c’è possibilità di riacquisire il diritto a rimanere nel nostro paese. Neppure se si trova la possibilità di un nuovo contratto regolare: non sarebbe possibile firmarlo, e si è dunque destinati a rimanere irregolari a vita, se non si hanno famigliari residenti regolarmente che possano far ottenere un permesso o un reddito superiore all’assegno sociale. In questi casi, dunque, il rapporto di lavoro in nero non è una scelta, ed è anzi una condizione di cui alcuni imprenditori approfittano per garantire meno diritti ai lavoratori e pagare meno tasse.
Tra le proposte che sono circolate nelle ultime settimane alcune prevedono proprio l’emersione di rapporti di lavoro informale con stranieri irregolari, tramite domanda da parte del datore di lavoro, oppure il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per accesso al lavoro della durata di alcuni mesi (si propone per esempio fino al 31 dicembre 2020), durante i quali si potrebbe cercare un’occupazione regolare e ottenere dunque un permesso di maggiore durata. È davvero incomprensibile come una regolarizzazione costruita con incentivi simili a questi possa spingere le “persone a continuare a svolgere lavoro nero”, perdendo dunque la possibilità di ottenere un permesso legale di rimanere sul suolo italiano. La possibilità che, per scelta o per necessità, si continui a lavorare nel mercato in nero esiste, ma la probabilità non crescerà con la regolarizzazione. Anzi, è vero il contrario.
Gli effetti nel 2002
Inoltre l’affermazione di Crimi non ha fondamento nemmeno se guardiamo agli studi scientifici che hanno analizzato gli effetti della più grande sanatoria attuata in Italia, nel 2002, dal governo di centro-destra. Si trattò di circa 650mila nuovi permessi, quasi equamente divisi tra lavoratori domestici e alle dipendenze di imprese. Secondo la ricerca degli economisti Edoardo Di Porto, Enrica Maria Martino e Paolo Naticchioni, riassunta recentemente su Lavoce.info, quella regolarizzazione di massa – che era rivolta a chi aveva lavorato almeno 3 mesi in nero e forniva un permesso di soggiorno di due anni rinnovabile in caso di nuovi contratti di lavoro regolare – ebbe ripercussioni significative. Sebbene non ci fu un importante effetto sull’occupazione - né positivo né negativo - nel medio termine, nei primi cinque anni dopo la regolarizzazione la permanenza dei beneficiari nel mercato del lavoro rimase “estremamente alta”. Il 75 per cento di loro quattro anni dopo la sanatoria risultava ancora regolarmente occupato. Gli effetti positivi della regolarizzazione furono quindi stabili nel tempo, mentre le possibili ripercussioni negative su imprese e altri lavoratori non si manifestarono, se non in piccola parte. Ovviamente non è ancora chiaro se nel 2020, in un settore come quello dell’agricoltura, si potrebbero ottenere gli stessi risultati. È invece abbastanza semplice da calcolare il maggior gettito fiscale derivante dalla sanatoria: se venissero regolarizzati 300mila irregolari, secondo un altro approfondimento pubblicato da Lavoce.info, si potrebbe raggiungere un maggior introito fiscale di 1,2 miliardi di euro all’anno.
Oltre i confini della logica
La sanatoria proposta non è esente da punti deboli: prima di tutto non potrebbe ambire a cancellare definitivamente il lavoro nero tra gli stranieri perché questo si può annidare, e in effetti già succede oggi, anche tra i regolari. Per di più cadrebbe l’incentivo più forte alla regolarizzazione del contratto di lavoro nel caso in cui il permesso di soggiorno fosse limitato alla sola stagione del raccolto, senza la possibilità di rinnovarlo in caso di una nuova occupazione regolare. Inoltre la forza lavoro regolarizzata potrebbe non bastare, né essere della stessa qualità dei lavoratori stagionali che anno dopo anno avevano acquisito una professionalità e la forma fisica adatta al lavoro nei campi. Ma quel che è certo è che, nelle forme proposte fino a ora, la regolarizzazione degli stranieri irregolari non sembra poter incentivare il lavoro nero, come suggerisce invece Vito Crimi. A meno di non spingersi oltre i confini della logica.