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Alle imprese non servono mance. Paletti per non sprecare la fase 2

Lucio Scandizzo e Giovanni Tria

Il rilancio della crescita non riguarda solo il recupero dei livelli di produzione ma soprattutto l’aumento di produttività

Negli ultimi giorni è circolato un “brogliaccio” di quasi 800 pagine in preparazione del cosiddetto decreto legge “rilancio”, decreto che dovrebbe completare l’intervento di sostegno dell’economia italiana nella fase di emergenza e porre le basi per l’intervento di appoggio alla fase di ripresa. Il brogliaccio conteneva un elenco di richieste proveniente dai vari ministeri alcune delle quali segnalate come in cerca di copertura. Fermo restando che dovremo vedere con calma i contenuti effettivi del decreto per valutarne la coerenza, e se le finalità attese del decreto sono state rispettate e in che misura, la sua gestazione ci invita però sin da ora ad una riflessione.

  

 

In una situazione di emergenza si richiede lucidità, chiarezza, incisività e tempestività delle decisioni sia sulla quantità delle risorse da impegnare sia sulla loro destinazione. Al contrario, la proliferazione e la eterogeneità delle misure affastellate in quel brogliaccio hanno dato l’impressione che vari ministri abbiano perso il controllo delle proprie strutture o che queste non siano state sufficientemente informate del quadro generale e delle finalità. Tant’è che i ritardi nella definizione del decreto sembrano dovuti non tanto, o non solo, alla difficoltà di mettere a punto le misure fondamentali e dirimenti, ma a un processo negoziale in cui non sarebbero passate alcune misure, seppur urgenti, se non fossero state accettate in contemporanea altre misure patrocinate da interessi particolari, che hanno intravisto una opportunità di affermazione nell’atto legislativo più che nella loro utilità.

 

E’ sembrato che si stesse lavorando a una specie inedita di legge di bilancio – una specie di dream budget – in cui, come per magia, non solo ci si è liberati dalla camicia di forza dei decimali di deficit, ma è possibile perseguire tanti obiettivi diversi senza limiti di spesa.

 

Ma non è affatto così. Dire che è necessario muoversi subito per evitare il collasso dell’economia, che lo Stato debba accettare senza tentennamenti di accollarsi nuovo debito nella misura necessaria a non scaricare tutti gli oneri della crisi su imprese e famiglie e soprattutto che debba spenderlo immediatamente, non significa dire che si apra il mondo dei sogni.

 

  

L’impressione è che, in un dibattito mediatico in cui si dice che non servono i miliardi del MES tanto ne arriveranno migliaia dal Recovery Fund, si stia perdendo la nozione di valore e la stessa consapevolezza delle unità di misura. Non pensiamo che l’aumento dell’indebitamento di circa 55 miliardi sia troppo grande, anzi forse non sarà sufficiente e probabilmente si dovrà decidere a breve un ulteriore ampliamento. Ma proprio per questo motivo il suo utilizzo deve essere massimamente oculato e concentrato su misure incisive e comunicate con chiarezza, perché servono non solo a dare sostegno all’economia ma a incidere sulle aspettative e quindi sui comportamenti di imprese e famiglie. Non si può ottenere la tanto auspicata coesione nazionale disperdendo risorse in mille rivoli di spesa, anche se rispondenti a nobili propositi e a esigenze reali considerate singolarmente. Ci aspettiamo quindi che il decreto non rappresenti una “sintesi” delle proposte, come avviene quando l’obiettivo è ottenere il consenso, ma disegni un “insieme” logicamente coerente rispetto ai fini da perseguire.

  

Quel che serve oggi, in fase di emergenza, è concentrare le risorse per compensare quella parte delle imprese, e quindi quella parte della popolazione, che fino ad ora ha pagato il costo del blocco dell’economia per salvaguardare la salute di tutti. Questa operazione, che è al tempo stesso di sostegno e risarcimento, non è ancora stata realizzata e sembra sia stata confermata la strada di passare attraverso vari canali: cassa integrazione, parziale ristoro a fondo perduto per le imprese molto piccole che hanno avuto perdite di fatturato, intervento di ristoro di singoli costi come bollette e affitti, temporanei alleggerimenti fiscali o rinvii. Vedremo quali saranno i conti finali per il sistema delle imprese, quelle piccole e quelle medie o medio grandi, ma certamente siamo di fronte a un moltiplicarsi di centri attuativi e di spesa che non facilita la tempestività e soprattutto il coordinamento complessivo degli interventi.

 

Servono poi immediate risorse per aiutare il sistema produttivo ad affrontare la “riapertura”. Si tratta di ridisegnare il sistema di produzione e di interazione sociale secondo criteri che garantiscano un livello più elevato di sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro e di consumo, nonché di prevenzione delle cause ambientali della morbilità. Per le imprese significa ridisegnare i processi produttivi per porli in condizioni di sicurezza anche sanitaria, cosa che implica probabile riduzione della produttività del lavoro, investimenti in nuovo capitale fisico e in nuovo capitale immateriale, aumento generalizzato del rischio di impresa sia per fattori di domanda che di offerta.

 

Nella fase di riapertura, l'economia ha anche bisogno di interventi immediati nella sicurezza sanitaria, come espansione e rafforzamento della infrastruttura pubblica che si è rivelata manchevole e inadeguata, ma anche come aspetto fondamentale di una nuova normalità. Si tratta di rinnovare e rafforzare il sistema sanitario nazionale in tutto il territorio nazionale in termini di uomini e mezzi, investendo sulla ricerca, sulla tecnologia e sulle strutture fisiche indispensabili per affrontare le possibili ricorrenze di questa e di altre emergenze sanitarie.

 

La ripartenza richiede, quindi, un ammontare significativo di investimenti pubblici e privati mirati a mitigare le vulnerabilità del sistema produttivo emersa nella fase 1 della pandemia. Senza tali misure le imprese sarebbero costrette ad operare sotto il peso di tre passività potenziali: (i) la possibilità che il governo sia costretto a limitare o chiudere la produzione, (ii) la possibilità di minori acquisti o boicottaggi per la mancanza di standard di sicurezza e di salute sufficienti per proteggere i lavoratori e / o il pubblico e (iii) i danni diretti e indiretti che l’assenza di misure di sicurezza sufficienti potrebbe causare ai lavoratori e / o al pubblico. Il peso di queste responsabilità potrebbe far sì che molte imprese non siano in grado di ripartire o possano farlo solo operando a capacità inferiore. Senza questi interventi si creerà anche un problema sul fronte della capacità del sistema assicurativo di continuare a svolgere la sua funzione di supporto dell’economia a costi accettabili.

 

Infine, c’è una terza fase logico-temporale, quella del rilancio della crescita che riguarda non solo il recupero dei livelli di produzione e occupazione pre-pandemia ma soprattutto l’aumento di produttività e del tasso di crescita di medio-lungo periodo che è condizione anche del mantenimento dell’accesso ai mercati finanziari, sia che ci si rivolga loro direttamente emettendo debito nazionale sia che lo si faccia con la mediazione delle istituzioni europee.

 

Per passare dalla semplice “riapertura” alla crescita, le imprese dovranno investire pesantemente in innovazione, sul digitale, sulla sostenibilità ambientale e per confrontarsi con una fase di ristrutturazione delle filiere produttive internazionali che sarà non facile e sfiderà la competitività del nostro sistema produttivo. Per agevolare questo sforzo, alla fine di un periodo in cui le imprese hanno visto in gioco la loro sopravvivenza, non solo come iniziative singole, ma come sistema, è necessario ancora un forte sostegno pubblico agli investimenti privati. Gli strumenti sono molteplici e in parte esistono ma vanno potenziati, ed è bene che abbiano la caratteristica di essere disegnati come contributi automatici ad attività di investimento. Inventarsi una capacità del pubblico di entrare diffusamente nel capitale delle imprese private e nelle decisioni di impresa, poiché evidentemente un criterio di partecipazione dovrebbe essere adottato, significa ricreare meccanismi di allocazione discrezionale e distorsiva di risorse pubbliche già vissuti, che non ricordano tanto l’IRI quanto piuttosto la GEPI (Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali) che non ha lasciato un ricordo entusiasmante. Altra cosa è la scelta possibile e legittima dello Stato di assumersi la responsabilità diretta di investimento e gestione di attività riguardanti la produzione di beni pubblici strategici, qualora l’attività di regolazione abbia mostrato la sua inadeguatezza al raggiungimento degli obiettivi. A sostegno della crescita, quel che si chiede allo Stato è soprattutto il rilancio di una stagione di investimenti pubblici. Serviranno investimenti pubblici estesi, coraggiosi e innovativi sia in infrastrutture, sia in capitale umano, cioè in istruzione e sanità. Sembra quindi chiaro che non siamo nel regno dell’abbondanza. Al contrario, ogni risorsa disponibile oggi e che si renderà disponibile nel prossimo futuro dovrà essere indirizzata attentamente a questi molteplici ma concatenati scopi con una programmazione esplicita e condivisa. A ogni euro di nuovo debito è bene che corrispondano asset reali e, se possibile, con valori crescenti nel tempo.

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