Un bilancio della task force economia: tanti maschi, poche idee
I gruppi di lavoro “impatto economico” e “big data” della task force per l’emergenza Covid-19 hanno prodotto tre paginette scarse condite di tante banalità
I gruppi di lavoro “impatto economico” e “big data” della task force per l’emergenza Covid-19 hanno prodotto tre paginette scarse con poche indicazioni concrete, perlopiù disattese dal governo. Per il resto, ci sono suggerimenti di mero buonsenso che chiunque sarebbe stato in grado di fornire già due mesi fa: subordinare le aperture alla capacità dei reparti di terapia intensiva, garantire le mascherine e il distanziamento fisico dei lavoratori, disinfettare periodicamente le aree di lavoro e i mezzi di trasporto, incoraggiare lo smart working, fare tamponi in maniera massiva (come in Veneto e contro le indicazioni di Roma), e così via.
Verrebbe da dire che il contributo dei cervelloni assoldati dal ministero dell’Innovazione sia stato irrilevante, ma non è così. Gli undici punti intitolati un po' presuntuosamente “Come gestire la fase 2” contengono indicazioni utili, se non sulle riaperture, almeno sul governo e sui suoi intellettuali di riferimento. Intanto, chi sono gli autori: “Giovanni Dosi, Andrea Roventini, Mauro Napoletano e altri membri del sottogruppo impatto economico; Francesca Chiaromonte, Fosca Giannotti, Paolo Vineis e altri membri del sotto gruppo Big Data & AI for policy”. Non è chiaro quali “altri membri” dei due gruppi abbiano collaborato e quali si siano rifiutati di firmare e perché: sappiamo solo che di Big Data si sarebbero dovute occupare tredici persone, di economia dieci (tutti maschi e sei legati tra di loro da precedenti rapporti di collaborazione – alla faccia di diversity e gender balance).
Il documento si apre con un suggerimento corretto: le scelte di apertura o chiusura dovrebbero essere effettuate secondo quelli che gli autori chiamano sistemi locali del lavoro, e non per settori di attività. Peccato che l’esecutivo abbia scelto la strada opposta: il graduale rilassamento del lockdown segue precisamente quella logica settoriale che Dosi, Roventini e compagnia criticano. Un ulteriore tema è quello relativo alle misure di sicurezza sul luogo di lavoro, con particolare riferimento alle mascherine. A tal proposito, si chiede che le imprese che non le forniscono ai lavoratori siano “sanzionate per legge, anche con misure penali rilevanti”. Ma non si fa cenno al ruolo dello stato: una questione che oggi appare critica, vista la difficoltà a rintracciare i Dpi.
Dosi & Co. dicono la loro anche sul rischio di disoccupazione: “La necessità di garantire il distanziamento, assieme alla difficoltà di svolgere il lavoro utilizzando protezioni (guanti, mascherine, etc.) suggeriscono una riduzione sostanziale dell’orario di lavoro – con i lavoratori organizzati in turni. Tale riduzione dovrebbe avvenire a salario invariato con un contributo dello stato (si noti che questo costa meno allo stato della cassa integrazione a zero ore)”. Da un lato, sembra sfuggire loro che la principale ragione per la riduzione dei carichi lavorativi non è in sé l’esigenza di distanziamento sociale, quanto il brusco calo della domanda. Ma, soprattutto, al netto del sostrato ideologico “lavorare meno lavorare tutti”, scoprono letteralmente l’acqua calda: un sistema analogo esiste in Italia dal 1947 e si chiama, non a caso, cassa integrazione guadagni. E’ vero che i lavoratori in Cig subiscono anche una riduzione del salario, ma la pretesa di garantire il reddito, oltre l’occupazione, rischia di avere costi sproporzionati (oltre a generare iniquità).
Infine, il documento ammonisce che “ritardare oltre l’inizio di maggio la riapertura potrebbe drasticamente esacerbare il disagio socioeconomico del paese”. E’ l’unica prescrizione precisa dell’intero report: evidentemente, il governo non deve averla presa troppo sul serio, vista la cautela con cui sta programmando il phase out. Ultimo ma non meno importante: “La comunicazione delle basi razionali sottese ai diversi provvedimenti di apertura/chiusura ha un ruolo chiave per garantirne il successo, e deve fare appello alla giustizia sociale”. Evviva il comunismo e le banalità.