Ripartire dalla "digitalizzazione" del vino
La pandemia ha colpito anche le cantine italiane. Per ritornare ai livelli pre Covid servirà fare quello che non è stato ancora fatto: allargare il mercato e puntare sul web
La crisi è profonda anche per il mondo del vino. La batosta riguarda un export agroalimentare che vale oltre 44 miliardi di euro e la perdita, solo per quanto riguarda la vendita in bar e ristoranti, dovrebbe essere almeno del 30 per cento del giro d’affari pre-pandemia. E se a marzo il settore dei supermercati (gdo) ha segnato un più 6 per cento (Coldiretti su dati Ismea), grande distribuzione esclussa Confagricoltura parla di una flessione complessiva del 90 per cento delle vendite del vino toscano e marchigiano. Una batosta che arriva proprio dopo il record storico dell’export italiano: 6,4 miliardi nel 2019.
La crisi c’è. Ed è quella di un mondo disorientato quando, da fortemente tradizionale, si stava timidamente attrezzando per diventare globale, digitalizzandosi. Anche se solo poco più di due mesi fa rincorreva la tecnologia senza convinzione, sicuro com’era che il mercato principale fosse altro, il solito, quello della ricerca tra vigne e cantine. “Invece di acquistare una campagna pubblicitaria negli States i produttori italiani acquistano una vigna e testa bassa e lavorare – spiega Emilio Pedron da un wine-webinar di Winemeridian – Si calcola che il mondo horeca italiano (ossia i canali che riforniscono bar, ristoranti, alberghi, catering, ndr), che vale 10 miliardi di fatturato perderà il 50 per cento. Ci vorrà tutto il 2022 per tornare nel 2019, perderemo un 7/8 per cento di volumi e un 10/12 per cento di fatturato”.
Insomma, bisognerà più di prima rimboccarsi le maniche dice Emilio Pedron, enologo, già presidente di Gruppo Italiano Vini, imprenditore e guru del vino non solo per la sua Valpolicella: “Ci vuole tutta la forza possibile per resistere e non dovremo affidarci ai sussidi. Non dobbiamo infatti pensare che il contributo – compito delle associazioni di categoria – ci possa far sopravvivere, non sono per una economia vitivinicola assistita, che si è già dimostrata un disastro in passato e diventa ancora più pericolosa oggi, capace di drogare il mercato. La produzione non deve chiedere contributi per cose che andavano già male”.
La visione di Pedron va oltre la crisi: “Impariamo dal passato. La crisi del metanolo, a parte farci piangere i morti, ha dato una svolta positiva al mondo del vino che ha capito la qualità. La crisi di oggi non ha precedenti dal dopoguerra e ha coinvolto il mondo intero in tutta la filiera fino al consumatore finale, quindi, serve una risposta difficile, complicata, molto visionaria che richiede più competenza per intercettare una domanda che non c’è ancora. Nessuno per esempio si aspettava che nel canale moderno (gdo) andassero bene i vini e che ci fosse un calo disastroso dello champagne e del metodo classico. Non abbiamo uno scenario definito”.
Un passo avanti lo stavano facendo i grandi eventi del vino. Bloccati tuttavia a causa del Covid dopo Wine Expo a Parigi. Arrivederci al 2021 per Vinitaly – per esempio – e per i suoi 125mila visitatori e le sue 4.600 aziende. Un salto nel futuro.
Il calice mezzo pieno è tutto qui. Digitale e mondiale, enoturistico ed esperenziale, sostenibile. Spiega Pedron: “Gran parte dei problemi della filiera sono stati causati da atteggiamenti non omogenei e non coesi dei produttori. Si deve puntare sulla cultura e la formazione. Ci vuole un gruppo manageriale nuovo, più giovane, senza incrostazioni del passato, capace di cambiare e riprogrammare situazioni che richiedono generosità, flessibilità e idee ingegnose. Una volta le idee geniali erano poche e riservate ai grandi personaggi, ora sono necessarie per competere e sopravvivere”.
È un mondo che chiede tempo quando pare non ce ne sia. Cosa fare? Puntare al digitale. Anche nei suoi eventi, valore economico in crescita come dice l’organizzatore di Milano Wine Week, Federico Gordini che presenta la terza edizione forte del successo di un anno fa, a suon di numeri: arriva da 300mila partecipanti, per 300 eventi e 1.500 aziende coinvolte. Promette di stare al passo con una versione orientata più che mai al digitale (dal 3 all’11 ottobre 2020). Propone una piattaforma digitale per il vino italiano con 10 sedi mondiali: Mosca, Londra, Monaco, New York, Pechino, Shanghai, Hong Kong, San Francisco, Miami e Toronto. Un’agenda di incontri e seminari, stand virtuali e digital tasting internazionali, saranno il cuore dell’evento rivoluzionato ma partecipato dalla solita innovativa Milano da bere.
Lo pensa anche il presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro dalla sua Franciacorta: “Si continuerà a vivere gli eventi presso i ristoranti di Milano, ai quali deve andare tutta la nostra attenzione. Non sanno ancora come riapriranno… Sarà di sicuro una Milano Wine Week diversa ma siamo bravi a cambiare pelle”.
Ma siccome non basta essere una Milano enosociale ecco che si fa squadra con altri big come sottolinea senza mezzi termini Helmuth Köcher, del Merano Wine Festival, uno che la trasformazione digitale l’aveva capita prima ancora del vino: “Si risorgerà lavorando come sempre in vigna – dice – a mancarci è la stretta di mano e gli abbracci di un mondo del vino che è fonte di connessione e narrazione. Anche in un momento difficile come questo, la svolta digitale ci dà la possibilità di scambiare emozioni a distanza. Possiamo condividere dalla coltivazione della vite a quello che arriva nel bicchiere con la degustazione di una bottiglia di vino, stando a casa in cantina con un interlocutore che ci ascolta da Pechino piuttosto che da Dallas o San Francisco: è comunque interessante e funziona. Avrà una forte riconoscibilità”.
Quello del vino è un mondo di persone positive. “Il digital ha aiutato in modo incredibile il mondo del vino in questo periodo di quarantena. – spiega Emanuele Trono, Enodigital da novantamila e passa follower – È senz’altro l’inizio di una grande rivoluzione che porterà ancora più valore al prezioso nettare della nostra penisola”.