Come Germania, Francia, Usa, Cina e Giappone aiutano l’automotive
Sono passate solo due settimane dalla riapertura della fabbrica Volkswagen di Wolfsburg, culla e cuore dell’auto tedesca. Ma la ripresa stenta. Anzi, si parla di fermare alcune linee di produzione per l’assenza di domanda. Nel 2009, di fronte alla crisi finanziaria, la lobby delle quattro ruote scatenò un’offensiva tra Berlino e Bruxelles, per strappare l’assenso a una campagna di incentivi a favore dell’auto: 5 miliardi per dare sprint alle vendite in Germania, un provvedimento fortunato anche perché ben presto imitato da analoghi interventi in Francia e Regno Unito. Altri tempi, a giudicare dalla cautela (anzi, la freddezza) con cui Angela Merkel ha accolto le richieste dei Big in processione dalla Cancelliera il 5 maggio per chiedere stimoli per il settore in caduta libera ancor prima della pandemia. Parliamone a settembre o, se proprio insistete, a giugno. Si è limitata a dire frau Merkel, ansiosa di cancellar l’accusa di essere troppo vicina all’industria dell’auto, fino a ieri punta di diamante dell’economia d’oltre Reno.
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