Caso Fca, la doppia intervista Calenda-Marattin
È giusto o no che l'azienda chieda un prestito con la garanzia dello stato? A che condizioni gli deve essere concesso? Rispondono il leader di Azione e il deputato di Italia viva
Comincia oggi sul sito del Foglio una nuova rubrica curata da Lorenzo Borga, “Divergenze Parallele”. Ogni settimana ospitiamo due opinioni opposte, ma informate, su un tema chiave per capire la quotidianità. Perché – fuori dal mondo dei talk show e dei social – sugli argomenti di scontro si possono confrontare ragioni diverse, legittime e immuni da bufale.
Iniziamo con la doppia intervista a Carlo Calenda, leader di Azione (nella foto sotto a sinistra), e Luigi Marattin, deputato di Italia viva, sul prestito richiesto da Fca a Banca Intesa con la garanzia di Sace.
Ha senso chiedere il rientro della sede legale e della sede fiscale in Italia se Fca otterrà il prestito da Intesa San Paolo con la garanzia di Sace?
Calenda - Avrebbe assolutamente senso, come è il caso di tutte le altre case automobilistiche europee. Avendo però loro in programma la fusione con Psa, il nuovo gruppo sceglierà probabilmente un paese neutro. Quindi nei fatti questa richiesta non è oggi praticabile.
Marattin - No. A chiedere il prestito non è Fca Group (che ha sede in Olanda), ma Fca Italy, che ha sede in Italia, paga le tasse in Italia e dà lavoro - compreso l’indotto - a circa 370.000 persone in Italia. Giustamente, il DL Liquidità impone di concedere garanzie solo a imprese con sede in Italia, che si impegnino a rispettare determinate condizioni, e in fase di conversione le stiamo specificando meglio. Ma imporre di dettare le condizioni anche sulle strategie di localizzazione di una multinazionale significa solo solleticare gli istinti sovranisti e populisti.
Perché chiedere la sospensione della distribuzione dei dividendi finché il prestito non sarà rimborsato?
Calenda – Perché se una capogruppo ha la liquidità e invece di metterla nella controllata li distribuisce, perché lo stato garantisce un finanziamento nella controllante, di fatto lo stato sta garantendo il dividendo. Peraltro, è uno standard in caso di aiuti di Stato e dei finanziamenti di mercato in presenza di una situazione di cassa in peggioramento. E francamente trovo strana la casualità per cui il divieto di distribuzione dei dividendi è valido, nel decreto, solo per il 2020: sembra una norma scritta ad hoc per Fiat.
Marattin - Abbiamo approvato un emendamento che specifica che se un’azienda ha prima distribuito i dividendi e poi ha chiesto la garanzia (pensando così di eludere la condizione) non può distribuire i dividendi l’anno prossimo. Ma non vedo perché vincolare una società quotata a non distribuire i dividendi per anni, a fronte di un prestito concesso da una banca privata e non a fronte di un impiego diretto di risorse pubbliche, ma solo di una garanzia onerosa per l’impresa.
È un problema che Fca sia l’unica tra le grandi case automobilistiche europee ad avere sede legale e fiscale fuori dal paese in cui è nata?
Calenda – Partiamo dal presupposto che trovo la legislazione olandese sul voto multiplo sbagliata e un danno per la contendibilità di un’azienda e gli azionisti di minoranza. In tutti i paesi europei le case automobilistiche sono al centro di un ecosistema avanzato fatto di ricerca, formazione, collaborazione istituzionale etc. FCA lo è nei fatti sempre meno. Aggiungo, non puoi comportarti da multinazionale apolide quando le cose vanno bene e da casa automobilistica patriottica quando chiedi una garanzia di 6,3 mld di euro, mentre distribuisci 5,5 mld di dividendi. Il dividendo è necessario per i concambi della fusione? - anche se secondo me non saranno mai pagati i 5,5 di euro di dividendo e probabilmente saranno rivisti i concambi data la situazione di mercato - ma anche fosse, allora dopo la fusione la holding dovrebbe sostituire in parte la garanzia del Mef, per un ammontare corrispondente al dividendo distribuito. Sarebbe un giusto punto di caduta.
Marattin – Io inizierei a chiedermi il perché. Forse a causa di una pressione fiscale più alta? Di una giustizia civile più inefficiente? Di una pubblica amministrazione non sempre all’altezza? Di un impianto di diritto amministrativo e societario da rivedere? Preferisco agire su questi (e altri) aspetti di competitività, così da evitare che tra venti anni saremo qui a fare la stessa lamentela.
Quale è il giusto grado di negoziazioni che il governo deve utilizzare per i prestiti garantiti da Sace nei confronti delle grandi imprese?
Calenda – Vanno chieste garanzie sugli investimenti, Fca ma anche Autostrade non hanno mai realizzato i piani promessi in Italia. Sono ovviamente situazioni differenti. Autostrade è una concessionaria e FCA un’azienda privata che tuttavia usa molta cassa integrazione.
Marattin - Il dl Liquidità già prevede che, a differenze di quanto accade con aziende di dimensioni inferiori, le realtà produttive con più di 5.000 dipendenti e un fatturato superiore a 1,5 miliardi ricevano la garanzia solo tenendo conto di una serie di ulteriori condizioni quali il contributo allo sviluppo tecnologico, l’impatto sui livelli occupazionali, l’incidenza sulle infrastrutture strategiche, ecc. Forse chi ha criticato questo aspetto non aveva letto bene il decreto.
La concorrenza fiscale tra paesi membri dell’Unione Europea e che sono all’interno dello stesso mercato comune è un problema o un’opportunità?
Calenda – Dipende da come è fatta la concorrenza. È concorrenza il fatto che piccoli paesi come l’Irlanda, l’Olanda o il Lussemburgo costruiscano sistemi fiscali o di governance iniqui e non sostenibili per altri paesi europei più grandi e con welfare imponenti? Questa è distorsione della concorrenza. Tanto che tutti in Europa, a partire da Francia e Germania, lavorano su corporate tax unica. Non solo: se tu inizi una concorrenza fiscale al ribasso, siccome i capitali sono mobili e il lavoro no, hai un effetto di diminuzione delle tasse sul capitale e aumento della tassazione sul lavoro o deterioramento dei servizi pubblici. È quello che è successo in tutto il mondo negli ultimi 30 anni. E non sono io a dirlo ma l’Economist, il Financial Times, il Fondo monetario Internazionale e ogni altra istituzione internazionale.
Marattin – Io credo che la Ue debba portare a compimento il progetto di Common Consolidated Corporate Tax Base, di cui si parla da anni senza arrivare mai a nulla. Significa stabilire regole certe per definire la base imponibile delle imposte sul reddito delle società, valida su tutta l’Unione. Solo così si può mettere fine alle manovre elusive. Dopodiché, ogni stato fissi l’aliquota che è nelle condizioni di porre, senza essere accusato di essere un paradiso fiscale solo perché fissa aliquote più basse. Forse alcuni parlamentari europei dovrebbero dedicarsi a questo, invece che ad altro. Anche perché sono pagati per questo.