Martedì 19 maggio il Times di Londra pubblica in prima pagina una grande foto di due giovani donne sedute al tavolino di un caffè milanese nell’angolo della galleria che guarda piazza del Duomo; sullo sfondo la facciata della cattedrale. Il New York Times non è da meno e punta sui saloni di bellezza. Immagini simboliche, la vita ricomincia e i piaceri grandi o piccoli ne sono parte rilevante. Ecco l’Italia. La società dello spritz, la cultura della movida, la politica dell’effimero, questa è la ripartenza, questa è la nostra libertà post-moderna. Di che cosa hanno scritto finora i giornali, che cosa ci hanno mostrato le dirette televisive? Pizze, spiagge, trucchi e parrucchi, hanno turbato il governo, diviso i partiti, riacceso la fiammella nazional-populista; eppure appesa a un filo c’è la sorte di dieci milioni di lavoratori dell’industria e dei servizi ad essa strettamente collegati, che portano sulle spalle il prodotto lordo dell’Italia. Tra commercio, alberghi e turismo ci sono circa 5 milioni di addetti, un milione 30 mila gli statali, comprese le forze di polizia, quasi due milioni della sanità, un milione e 800 mila nella scuola. Questi sono i principali settori, tutti danno il loro contributo, ma a tenerci a galla finora sono state le esportazioni di beni prodotti dalle aziende manifatturiere, quelle “cose belle e che piacciono al mondo” delle quali parlava Carlo Maria Cipolla.
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