(foto LaPresse)

Tutti i bazooka anti Covid

Luca Roberto

Per fronteggiare la recessione post pandemia gli stati stanno spendendo 3 mila miliardi tra misure fiscali e garanzie pubbliche. Uno studio dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica

Se gli effetti economici innescati dal coronavirus avessero sostanza geometrica, prenderebbero la forma di un rettangolo. Lo ha spiegato l’economista francese Alexandre Delaigue al Monde, che ne ha tratto un video divulgativo in cui si chiarisce perché quella legata al Covid è una crisi diversa dalle altre. Le misure di lockdown hanno avuto il duplice effetto di bloccare l’economia sia dal lato dell’offerta che da quello dei consumatori, hanno fatto crollare il reddito pro-capite nazionale di 170 paesi, e posto le basi, dopo le stime del Fondo monetario internazionale secondo cui il pil mondiale nel 2020 farà segnare un calo del 3 per cento, per una recessione oramai considerata irreversibile.

 

Per questo quasi tutti sono corsi ai ripari cercando di immettere liquidità nella propria economia, tentando di stimolare una risalita dei consumi e sperando che l’emergenza sanitaria potesse essere superata in un orizzonte temporale ragionevole. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, che sulla base dei dati raccolti dal Fondo monetario ha redatto una tabella sulle misure fiscali anti-covid adottate nei 32 paesi a “economia avanzata”, l’ammontare delle misure messe in campo per contrastare gli scenari recessivi è di oltre 3 mila miliardi di dollari tra politiche fiscali e garanzie pubbliche concesse al settore privato. Soldi che ovviamente impattano sulla consistenza del debito nazionale. 

 

Quella scattata dall’Osservatorio è una fotografia che mostra tutta l’eterogeneità possibile tra sistemi economici molto differenziati. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove gli interventi di sostegno al reddito prima dello scoppio della pandemia erano poco estesi se non inesistenti, le nuove misure espansive hanno impattato sul deficit per una quota maggiore al 10 per cento del pil. Un esborso che in alcuni casi è salito fino a 1200 dollari a persona, e che ha dovuto raggiungere una platea sempre più ampia: oggi è stato comunicato che sono 40 milioni le richieste di sussidio di disoccupazione.

 

Nel contesto europeo, la media di quanto i nuovi strumenti per stimolare domanda e offerta vadano a incidere sul deficit è rimasta molto più contenuta (4,7 per cento del pil), non troppo distante dalla media di tutti e 32 i paesi sotto indagine (3,7 per cento). Questo, come dicevamo, in parte è dovuto ai più evoluti sistemi di welfare della maggior parte dei paesi europei, per cui non si è tenuto conto degli effetti degli stabilizzatori automatici: significa che in Italia si è ignorato quanto influisse sul debito l’erogazione dei sussidi di disoccupazione ordinari, mentre hanno fatto parte del saldo altre misure transitorie come la cassa integrazione in deroga (oltre 25 miliardi di euro) o lo strumento del “chômage partiel” (simile a un’indennità di disoccupazione) in Francia.

 

Nella totalità dei paesi economicamente più avanzati si è ricorso poco al finanziamento straordinario del sistema sanitario: in media, in rapporto alla consistenza del pil, è valso lo 0,5 per cento, ancor meno nei 27 paesi dell’Unione europea, dove per altro ci si è attrezzati con strumenti comunitari. Dalla tabella, in aggiunta, emerge un primato per l’Italia: è il paese che più di tutti, dopo la Germania, ha destinato quote consistenti, oltre un quarto del prodotto interno lordo nazionale, all'erogazione di garanzie statali sui prestiti concessi dalle banche ai privati. La famosa potenza di fuoco da 400 miliardi di euro evocata dal premier Conte presentando il decreto liquidità (come spiegato sul Foglio il 50 per cento dei piccoli imprenditori e ¾ delle medie aziende non hanno ancora ricevuto un euro). “L'Italia è nella media dei paesi avanzati” ha spiegato il direttore dell'Osservatorio, Carlo Cottarelli, intervenendo in audizione in commissione Bilancio alla Camera. “Le misure introdotte nel decreto Rilancio sono difensive, principalmente trasferimenti di reddito. Sono necessarie, soprattutto se ben mirate, a compensare la perdita di reddito. Ma non sono sufficienti a trascinare il paese fuori dalla crisi. Guardando in avanti, quindi, serviranno vere misure propulsive, che portino a spese che non avrebbero avuto luogo senza la crisi. Tra queste, un grande programma di investimenti pubblici, già da quest’anno, in grado di lasciare un’eredità alle generazioni future”.