Sfida spaziale
In piena depressione Covid, Nasa e privati rilanciano i progetti globali. Inizia l’era dell’“economia dello spazio” e il vantaggio è degli Stati Uniti, gli unici con un team di imprese che sta spiazzando i giganti del complesso militare-industriale
Tute stilizzate a Hollywood e trasporto in Tesla X, l’ammiraglia del gruppo, alla capsula Crew Dragon montata sul Falcon 9, il primo razzo vettore riutilizzabile della storia del volo spaziale. Uno spettacolo che a qualcuno ha ricordato, addirittura, il volo dei fratelli Wright del 1903 o l’immagine del Saturno 5 del 1968 o il primo volo dello Shuttle del 1981. Cioè, eventi che segnano svolte nella storia del trasporto aereo.
La novità qui è tecnologica (il vettore riutilizzabile introduce, davvero, all’epoca dello spazio commerciale e del commuter a disposizione di tutti) ma è, anzitutto, economica: lo spazio smette di essere monopolio statale. Inizia l’era dell’“economia dello spazio”: non più luogo di competizione di prestigio, di supremazia militare o di egemonia politica, ma di sfide commerciali e di business strategici. Niente più può essere come prima nella corsa allo spazio. Gli Stati Uniti hanno indicato il modello industriale del futuro: la partnership pubblico-privata nell’alta tecnologia vale per lo spazio. Ma Elon Musk, il primo capitalista tecnologico dell’era spaziale, è replicabile in ogni altro comparto della sfida della digitalizzazione e delle tecnologie.
Intanto, l’impresa di Space X va oltre i successi tecnologici ed economici di Musk. In piena depressione Covid, Nasa e privati rilanciano, di colpo, la vision dei progetti globali: il ritorno sulla Luna, addirittura per il 2024 e il progetto Marte. È evidente il vantaggio americano. La superpotenza ha calato un asso che cambia la scena della competizione globale: un passo indietro del complesso militare-industriale nel dominio del settore aerospaziale, l’affermazione della natura commerciale dell’impresa spaziale e l’ingresso imperioso dei privati. Nessuno degli sfidanti globali è pronto a questa sfida: nessuno, infatti, dispone di un capitalismo privato comparabile, per dotazione di mezzi propri, inventiva e creatività tecnologica, a Elon Musk, a Jeff Bezov, fondatore di Amazon e di Blue Origin, ad aziende come Dynetics, allo stesso inglese Richard Branson di Virgin Galactic.
Gli Stati Uniti dispongono, ormai, di un national team di imprese private spaziali (Space X, Blue Origin , Dynetics, e altre) che sta spiazzando, sul terreno dei costi, i giganti del tradizionale complesso militare-industriale (Boeing, Northrop-Grumman, Raytheon, General Dynamics). Nel programma Artemis, che farà da apripista agli appalti per il progetto di ritorno sulla Luna, i primi grandi contratti – quelli sui futuri landers e sui componenti della stazione lunare – i campioni del national team hanno già battuto la Boeing.
La sfida statunitense, il modello pubblico-privato, pone una seria riflessione all’Europa. Non saranno la Luna o Marte le vere prossime sfide commerciali. La verità è che il ritorno economico, i nuovi campioni nazionali privati Usa lo attendono, invece, dal business commerciale dell’immediato futuro: lo sfruttamento dell’orbita bassa. È sull’attività del posizionamento di nuovi satelliti, del turismo spaziale, dei trasporti sulla stazione Internazionale e della costruzione della nuova, dell’uso dello spazio per la gestione dei Big Data che i privati Usa si attendono una nuova “economia dello spazio”. L’Europa (e l’Italia), se vogliono essere nelle sfida, dovranno iniziare a costruire qualcosa di analogo al “national team” americano. E aprire, decisamente, il settore ai privati.