Superare quota 100
Le tante costose salvaguardie non hanno risolto i problemi della legge Fornero. Serve la riforma definitiva
Spesso i sostenitori della riforma Monti-Fornero criticano e giustamente l’introduzione da parte del governo gialloverde di quota 100 che, quanto a esborso per lo stato tutto a debito, fa il paio con il reddito di cittadinanza: quasi 90 miliardi equamente distribuiti tra i due provvedimenti. Ma la vera domanda da porsi è: la riforma Fornero ha funzionato? Evidentemente no; basta vedere cosa è successo subito dopo la sua emanazione.
Già dal 2012, il governo Monti fa partire la prima e la seconda “salvaguardia”, così sono state chiamate le norme per consentire il pensionamento con i requisiti pre Fornero; e così via fino alla ottava nel 2016. In totale i salvaguardati sono stati 120 mila. Poi, tra il 2014 e il 2016, con la proroga di “opzione donna”, (calcolo totalmente a contributivo con 57 anni di età e 35 di contributi; 58 anni per le autonome) sono andate in pensione oltre 45 mila donne. La verità è che pur rendendosi conto dei limiti tecnici e di equità della legge Fornero, i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni non hanno avuto il coraggio di rivedere la riforma limitandosi a fare deroghe finché nel 2017 e 2018 non potendo realizzare una nona salvaguardia hanno introdotto una serie di provvedimenti: l’Ape (anticipo pensionistico), i lavori gravosi e i “precoci”, rendendo ancora più complicato il sistema: una vera giungla delle pensioni che si era riusciti a eliminare in vent’anni di riforme. Risultato tra il 2017 e il 2018 i beneficiari dell’Ape sociale (a totale carico dello stato) che sono andati in pensione con 63 anni di età anagrafica e 30 o 36 anni di contribuzione (diremmo oggi, quota 93 o 99) sono stati 97 mila; i precoci (con 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica quindi molti sotto quota 100) sono stati 74.500 per un totale di oltre 340 mila “salvati” in 7 anni e per un costo di circa 30 miliardi (quasi il 25 per cento dei risparmi previsti dalla riforma Fornero). In questo contesto arriva quota 100 che nel solo 2019, assieme alla proroga di opzione donna, Ape, precoci produce ben 264.765 pensioni con requisiti più favorevoli, escludendo dal computo le 107 mila cosiddette anticipate (solo 2 mesi). Insomma gli “scampati” alla legge Fornero in 8 anni sono stati 604 mila su un totale di 16 milioni di pensionati, 75 mila l’anno! Si poteva fare meglio? Certo. La Lega disponeva del sottosegretario alla Presidenza del consiglio (ruolo chiave), del vice premier, del viceministro al Mef e dei sottosegretari ai posti giusti (Mef, Mise e Lavoro); inoltre c’era ampio accordo con il premier e il capo politico del M5s. Purtroppo è prevalsa la fretta di comunicare ai soli fini elettorali la parola magica: quota 100, un provvedimento a debito, a spese delle giovani generazioni e con molte pecche: non cancella la riforma Fornero; non risolve la flessibilità in uscita; si disinteressa dei giovani; è solo una misura sperimentale e a tempo (3 anni per quota 100 e 8 anni per precoci e anticipata) dopo di che si torna a Fornero; non prevede agevolazioni specifiche per lavoratori con problemi di salute, familiari a carico da curare, lavori pesanti, in mobilità o disoccupazione e neppure l’utilizzo dei “fondi di solidarietà” per l’industria, il commercio, l’artigianato e l’agricoltura, (sul modello di quelli per le banche e assicurazioni che hanno permesso di fornire una protezione di 5 anni, con 62 anni di età e 35 di contributi, a oltre 80 mila lavoratori), solo un “liberi tutti” compresi quelli che ancora potrebbero tranquillamente lavorare mentre prevede il divieto di cumulo mettendo in panchina, quando va bene o a “nero” molti neo pensionati; non è servita neppure come staffetta generazionale.
Cosa fare quindi? Occorre una proposta di legge che concluda il ciclo delle riforme dando certezza ai cittadini con regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri, mantenendo i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione; quota 100, Ape social, opzione donna e precoci, possono essere sostituiti dai fondi esubero che sono già operativi per le banche e assicurazioni e sono a costo zero per lo stato; reintrodurre la flessibilità in uscita alla base della riforma Dini, consentendo un pensionamento flessibile con 64 di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita), con almeno 37/38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari), rendendo stabile la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne) svincolata dalla aspettativa di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo. Si potrebbero prevedere anticipi per le donne madri (8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi) e per i precoci ogni anno di lavoro prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni. Infine si dovrebbe reintrodurre l'indicizzazione delle pensioni all’inflazione nella misura del 100 per cento fino a tre volte il minimo, 90 da tre a cinque volte il minimo e 75 oltre cinque volte la prestazione minima sulla quota di pensione “retributiva” mentre per quella contributiva l’indicizzazione dovrebbe essere pari al 100 per cento ed eliminare l’iniquo taglio delle pensioni alte. Se si fosse proceduto con una riforma definitiva i numeri dei “salvaguardati” e i costi (altri 30 miliardi che sommati ai precedenti, riducono del 60 per cento i risparmi Fornero) sarebbero stati inferiori ma soprattutto si sarebbe fatta più equità intergenerazionale. Riformare quota 100 è urgente perché diversamente nel 2022 si tornerà alla Fornero con uno scalone di oltre 5 anni in più per l’accesso alla pensione. Certo, oggi alla luce della crisi da coronavirus con un incremento della disoccupazione, eliminare quota 100 e provvedimenti collegati sarà molto difficile perché sono nei fatti degli ammortizzatori sociali. Si pensava a un accesso limitato per il 2020/21 essendo l’80 per cento dei potenziali richiedenti dei “misti” con oltre il 60 per cento della pensione calcolata con il contributivo; ma probabilmente tra il rimanere senza lavoro e senza reddito e una pensione ridotta del 10 per cento la scelta per molti sarà obbligata. Considerata la grave situazione lasciamo pure quota 100 per il 2020, ma oggi più che mai è tempo di progettare una riforma definitiva.
Alberto Brambilla
Consigliere economico Presidenza del Consiglio