Parisi, l'ultimo tango del lavoro
Il danno erariale per i voli per il Mississippi è nulla rispetto al disastro economico causato da Parisi alla guida dell’Anpal. Perché un paese che non sa governare il mondo del lavoro non è in grado di investire sul futuro. Appello al Pd per una svolta necessaria
Il governo dovrebbe pagare a Mimmo Parisi un altro viaggio per il Mississippi, l’ultimo. Il professore messo al vertice dell’Anpal per volere di Luigi Di Maio e del Padreterno – “L’incontro con il ministro Di Maio è stato un atto di Dio”, disse Parisi durante lo show di presentazione dei navigator – non dovrebbe rimanere un giorno in più al suo posto. Per tre motivi. Il primo è legale, e riguarda la sua irrisolta incompatibilità con la presidenza dell’Anpal. Il secondo è economico, e riguarda i suoi ingiustificati e mai chiariti mega rimborsi spese. Il terzo – il più importante – è di accountability, e riguarda il pessimo lavoro svolto, evidente dalla disastrosa situazione in cui versa l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.
Procediamo con ordine. Parisi dovrebbe essere rimosso perché, secondo l’articolo 5 dello statuto dell’Anpal, il ruolo di presidente è “incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato”. Il professore ha sempre dichiarato che il suo rapporto con la Mississippi State University si “caratterizza per il ruolo di consulenza”, cosa comunque potenzialmente in conflitto d’interessi ma non palesemente incompatibile. Questa tesi sarebbe stata confermata da un parere del Dipartimento affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi richiesto – non si è capito bene perché – dal sottosegretario Riccardo Fraccaro, che non ha alcuna competenza sulla materia. Ma è una versione non creduta dal ministero del Lavoro e smentita dalla stessa università americana. A seguito di un accesso agli atti, il Foglio ha ottenuto una lettera con cui ad aprile il ministero del Lavoro ha chiesto all’università di Parisi alcuni chiarimenti sul suo rapporto di lavoro: se cioè Parisi è un dipendente (“employee”) dell’Università oppure un mero consulente autonomo (“self-employed consultant”). La risposta dell’ateneo è inequivocabile: confermiamo che Mimmo Parisi è un dipendente (“is currently employed”) della Mississippi State University. Legalmente incompatibile, quindi.
C’è poi il capitolo dei rimborsi, un tema a lungo cavalcato dal partito che ha piazzato Parisi in un ruolo così importante. Oltre allo stipendio annuo da 170 mila euro, il presidente dell’Anpal ha speso 160 mila euro, di cui 60 mila di voli in business class che “non sono una questione di lusso, ma di salute: ho il mal di schiena”, dice Parisi. Non è stato però il medico a prescrivergli la business class, ma lui stesso. E’ stato cioè Parisi, con una determinazione unilaterale, a scrivere il regolamento che lo autorizza a viaggiare in business class per tornare una volta al mese in Mississippi. Un benefit che il regolamento precedente non consentiva. Ma a parte la declamata frugalità grillina che ormai – dai viaggi in autobus di Roberto Fico ai voli in economy in Cina di Luigi Di Maio – è solo un vago ricordo, in questo caso c’è un problema di legittimità. Perché il cda di Anpal non vuole approvare queste spese, Parisi da oltre un anno – in spregio alle norme sulla trasparenza – si rifiuta di pubblicare la rendicontazione, e inoltre il ministero del Lavoro ha contestato il regolamento di Parisi ritenendolo “non idoneo né capace di produrre effetti”. Inadeguato economicamente, quindi.
Ma il danno erariale dei voli da e per il Mississippi è nulla rispetto al disastro economico causato da Parisi alla guida dell’Anpal. E questo è il problema più grande, che il governo si rifiuta di affrontare. Il paese è entrato in una crisi economica senza precedenti, in cui le politiche attive saranno fondamentali per formare e traghettare verso nuove occupazioni i lavoratori dei settori maggiormente colpiti dal Covid. E in questo contesto l’Agenzia che si occupa di questa questione strategica è senza un piano industriale da oltre sei mesi, perché il cda si è rifiutato per tre volte di approvare quello proposto da Parisi; è senza la famosa app che doveva magicamente trovare lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza; e con un presidente part-time, ma pagato full time, che si occupa di procacciare contatti e affari alla sua università americana. Il bilancio della gestione Parisi è drammatico. Lo ha certificato la Corte dei Conti pochi giorni fa nel “Rapporto 2020 sul coordinamento di finanza pubblica” parlando del Reddito di cittadinanza: “Per le politiche attive per il lavoro i risultati appaiono al momento largamente insoddisfacenti – dice la Corte –, non si intravvedono segni di un maggiore dinamismo dei Centri per l’impiego rispetto al passato”. Parisi ha messo al centro del suo piano triennale per l’Anpal i 3 mila navigator, sebbene siano in scadenza di contratto tra un anno, e nonostante il loro contributo sia impercettibile: nessuno, neppure Parisi, è in grado di dire se un navigator abbia mai trovato un posto di lavoro a qualcuno.
Il M5s e Matteo Salvini, che ha appena incontrato Parisi, difendono questo che è il bilancio del governo gialloverde. Ed è anche comprensibile. Non si capisce però perché non faccia nulla il Pd che, a livello istituzionale, è completamente tagliato fuori da tutto ciò che riguarda il lavoro (ministero, Inps, Anpal, Inapp e presidenza delle commissioni). L’Anpal è in uno stato vegetativo, tanto che Parisi non è stato inserito in nessuna delle tante task force sull’emergenza. A questo punto non è chiaro se il governo abbia in scarsa considerazione Parisi o le politiche attive: nel primo caso dovrebbe cambiare il presidente e nel secondo chiudere l’Anpal. Di certo non si può andare avanti così.