Consigli non richiesti al Pd su come abolire Quota 100
La controriforma gialloverde delle pensioni è stata un disastro totale. Ma c’è una soluzione: tornare all’Ape
Se il Partito democratico è davvero – come dice – contrario a Quota 100, perché non prende un’iniziativa politica per superare quella che il suo responsabile economico, Emanuele Felice, ha definito “la peggior misura di politica economica degli ultimi anni”? Il modo c’è ed è persino banale: anticipare la fine di Quota 100 e sostituirla con una misura che proprio il Pd aveva voluto nella scorsa legislatura, cioè l’Ape volontario.
Andiamo con ordine. Pur avendo finora difeso la scelta di conservarla fino alla scadenza (31 dicembre 2021), gli esponenti del Pd hanno più volte criticato Quota 100: lo hanno fatto, tra gli altri, il vicesegretario Andrea Orlando e il viceministro all’economia Antonio Misiani. Anche Italia Viva vorrebbe smontare la controriforma pensionistica, come non perde occasione di ribadire il capogruppo in commissione Bilancio alla Camera, Luigi Marattin. Se Quota 100 è ancora in vigore, lo dobbiamo a due ragioni. Una è politica: il presidente del Consiglio e l’azionista di maggioranza del governo, Giuseppe Conte e il M5s, sono stati gli artefici di questa disastrosa controriforma (tutti ricordano la photo opportunity di Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini con il cartello di “Quota 100” in mano). E poi c’è un tema di merito: che non riguarda tanto i “diritti acquisiti” dei pensionandi – argomento brandito dagli esponenti del Pd ai tempi della legge di bilancio 2020 – quanto la necessità, in un momento drammatico, di lasciare al mercato i meccanismi di aggiustamento con cui può assorbire almeno in parte la crisi occupazionale in corso.
Eppure, il Pd (con Iv) potrebbe presentarsi al tavolo negoziale con i grillini portando due argomenti ancora più forti: un problema che non si può negare e una soluzione chiavi in mano. Il problema è, detto molto semplicemente, Quota 100. Un provvedimento deleterio sotto tutti i punti di vista: costoso (perché ha fatto aumentare la spesa per le pensioni del 2,4 per cento, un punto in più della variazione media annua degli ultimi 8 anni, facendola salire al 16 per cento del pil e quasi al 40 per cento della spesa primaria corrente); iniquo (perché ha esacerbato gli squilibri e i privilegi del sistema retributivo a danno dei giovani premiando una fascia benestante, visto che l’assegno medio dei quotacentisti si aggira attorno ai 2 mila euro mensili); improduttivo (perché ha disattivato lavoro, in quanto non c’è stata affatto quella tanto propagandata completa sostituzione dei quotacentisti con nuovi giovani occupati, anzi i dati mostrano un preoccupante aumento del rapporto tra numero di pensioni e numero di occupati che ha improvvisamente fatto un balzo di 3 punti e ora è pari all’80 per cento – siamo ormai a un passo da una pensione per ogni occupato).
Oltre a essersi rivelato un (prevedibile e previsto) fallimento sotto qualunque metrica e rispetto a ciascuno dei suoi obiettivi, Quota 100 ha un ulteriore difetto: alla sua scadenza creerà uno “scalone” di 5 anni tra l’ultimo italiano che ne avrà diritto il 31 dicembre 2021 e il primo che ne verrà tagliato fuori, per un solo giorno, il 1 gennaio 2022. Infatti, proprio l’esperienza dei precedenti scaloni – quello determinato dalla riforma Fornero e quello precedente della riforma Maroni, poi abolito dal governo Prodi – fece sorgere fin da subito il sospetto che, pur essendo formalmente una “sperimentazione”, Quota 100 sarebbe diventata parte del sistema, con un costo crescente nel tempo per i lavoratori italiani. Ma mentre gli scaloni Maroni e Fornero erano il prezzo da pagare per una riforma strutturale nel nome della sostenibilità pensionistica e l’equità intergenerazionale, in questo caso è avvenuto il contrario: la controriforma di Quota 100 ha creato un problema economico e, con lo scalone, il presupposto della sua perpetuazione.
Quindi, per superare Quota 100 si deve tenere conto anche dell’esigenza di smorzare la transizione. Inoltre, mantenere una quota di flessibilità nel sistema è opportuno per aiutare le imprese assalite dalla recessione a ridimensionare il proprio organico senza alimentare disagio o tensioni sociali. La soluzione esiste ed è semplice: si chiama Ape volontario, e nel Pd e in Iv dovrebbero conoscerlo bene visto che l’hanno introdotto proprio loro ai tempi dei governi Renzi e Gentiloni. L’Ape – acronimo di Anticipo finanziario a garanzia pensionistica – era entrato in vigore in via sperimentale il 1 maggio 2017 e si è esaurito, non essendo più stato rinnovato, alla fine del 2019. Si tratta di un “prestito commisurato e garantito dalla pensione di vecchiaia, erogato dalla banca in quote mensili per 12 mensilità”: è un finanziamento agevolato, accessibile a un tasso assai contenuto in quanto gli intermediari finanziari, ricevendo le rate direttamente dall’Inps sotto forma di decurtazioni della rendita pensionistica nei successivi vent’anni, possono scontare un rischio molto basso. Si stima che il taglio si aggiri attorno al 2 per cento del montante contributivo. In pratica, per il lavoratore è una specie di mutuo: gli viene anticipato un capitale che restituirà a rate nel tempo. Insomma: il diritto ad anticipare l’età del pensionamento se lo compra chi ne usufruisce, visto che dalle pensioni medie erogate da 2 mila euro al mese se lo può tranquillamente permettere, senza scaricarne gli effetti sulla collettività. Una misura che non è costosa né iniqua né distorsiva.
Purtroppo, l’Ape e Quota 100 hanno un aspetto in comune: pur essendo entrambi stati introdotti nell’ordinamento a titolo sperimentale, non sono stati oggetto di alcuna valutazione. Per quanto riguarda Quota 100, come abbiamo visto, il disastro è evidente mala politica finge di non vederlo. Per l’Ape, invece, le informazioni si fermano al primo bimestre di applicazione. Tuttavia, sappiamo che l’adesione è stata limitata. Ci sono due principali motivi: il primo era la contemporanea entrata in vigore di altre forme di flessibilità più convenienti per il lavoratore (e onerose per le finanze pubbliche), quali l’Ape sociale e Quota 100. Il secondo, e più interessante, riguarda invece le complessità burocratiche per l’accesso all’Ape. Per risolverle queste ultime, in uno studio dell’Istituto Bruno Leoni Francesco Del Prato e Matteo Paradisi hanno proposto di consentire agli intermediari finanziari di gestire l’intero processo di domanda per conto del beneficiario, che invece prima doveva farsene interamente carico addentrandosi nei meandri del sito Inps. In tal modo si potrebbero ridurre sia i costi di adesione (nel senso che i soggetti interessati non dovrebbero scontrarsi con la burocrazia), sia quelli di informazione (sarebbero i potenziali intermediari a farsi carico di raggiungere i potenziali sottoscrittori).
In sintesi, il Pd e Italia Viva possono presentare ai grillini il conto del fallimento di Quota 100 (e dell’esperienza di governo con Matteo Salvini), mantenere la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro ripristinando una misura che essi stessi avevano prima elaborato e poi lasciato morire, infine liberare risorse preziose per finanziare la ripresa.