Quindici proposte per la riforma degli appalti pubblici
Come costituire i punti di partenza per una riforma della disciplina di settore nel rispetto di quella europea. E senza bloccare il paese
Nelle ultime settimane da più parti si chiede di mettere mano a una nuova riforma del Codice dei contratti pubblici, ritenuta necessaria anche per consentire il rilancio del paese dopo l’emergenza legata al Covid-19, che dovrà passare per le infrastrutture e i servizi. Si propongono soluzioni di vario genere, che vanno dall’abrogazione del Codice, all’applicazione senza filtri delle direttive europee, alla redazione di un nuovo Codice, alla revisione profonda di quello attuale, alla riforma mirata di alcuni istituti particolarmente problematici. Intanto, gli interventi di emendamento al Codice sino ad ora intervenuti si sono limitati a modifiche puntuali di istituti senza organicità. L’impressione è che davvero si sia persa la bussola e che si navighi a vista.
In questo breve scritto vogliamo illustrare una lista di proposte che dovrebbero costituire i punti di partenza per una riforma della disciplina di settore nel rispetto della disciplina europea. La nostra convinzione è che non si debba arrivare ad un terzo Codice dei contratti pubblici poiché questo comporterebbe una nuova ed inevitabile fase di fermo che il paese in questo momento non può permettersi. Occorre piuttosto operare in modo profondo sull’attuale Codice e, talvolta, su altre disposizioni complementari ad esso, come nel caso dei controlli e del processo. Le proposte di seguito elencate nascono, nell’ambito delle attività della cattedra, dal confronto tra i docenti, gli ospiti intervenuti e gli studenti.
1) Redistribuzione del peso delle diverse fasi della vita del contratto. Il Codice vigente appare fortemente focalizzato sulla fase dell’affidamento dei contratti pubblici, che certamente dovrebbe essere semplificata, mentre sono decisamente trascurate le fasi della programmazione del contratto da affidare (che comprende la progettazione) e dell’esecuzione. Se questo squilibrio si giustifica nelle direttive europee, per il fatto che esse si occupano essenzialmente degli istituti che hanno rilevanza ed impatto sul mercato unico, esso non è spiegabile nel diritto interno. Occorre anche considerare che l’esperienza dimostra che sono proprio le fasi della programmazione e dell’esecuzione dei contratti, proprio perché trascurate, quelle che richiedono tempi più lunghi e che sono a maggiore rischio di corruzione.
2) Eliminazione dell’incertezza delle fonti. L’attuale sistema delle fonti (in senso ampio, comprendendo anche provvedimenti a carattere non normativo ma comunque rilevanti) appare complesso e confuso. In ambito Europeo abbiamo il Trattato e le Direttive, una serie di atti ricognitivi (libri verdi, determinazioni della Commissione, ecc.) e le sentenze della Corte di Giustizia. Nel diritto interno, il testo del Codice è continuamente oggetto di emendamenti e correzioni. Si aggiungono una molteplicità di fonti secondarie con contorni spesso non chiari: le linee guida vincolanti e non vincolanti dell’Anac, il nuovo Regolamento in corso di redazione, i decreti ministeriali, da ultimo anche i decreti del presidente del Consiglio dei ministri. In ultimo le sentenze dei Tar e del Consiglio di stato. La conseguenza è la grande incertezza di chi deve concretamente applicare le norme.
Basti pensare che in questo momento è in dirittura d’arrivo la bozza finale del testo del nuovo Regolamento attuativo del Codice e parallelamente si considera la necessità di una profonda riforma della disciplina primaria, che probabilmente renderebbe inutile tale lavoro; non è chiaro il riparto delle competenze tra lo stesso Regolamento e le Linee Guida vincolanti dell’Anac, che non saranno del tutto superate; alcuni istituti sono stati sospesi per gli anni 2019 e 2020 e non si capisce cosa accadrà dopo (art. 1 dello sbloccacantieri).
Sarebbe necessaria una Cabina di Regia (peraltro prevista dall’art. 212 del Codice e pure già formalmente istituita ma di fatto non operante) che svolgesse il compito di preparare proposte e correttivi consapevoli e che coordinasse i diversi attori.
3) Perseguimento dell’efficienza. Il legislatore e, nell’ambito dei propri spazi di discrezionalità, l’amministrazione, devono avere come obiettivo prioritario l’efficienza della contrattazione pubblica, attraverso una disciplina di settore finalizzata a tale obiettivo. Tale valore deve intendersi nel senso della migliore spesa del denaro pubblico (c.d. Best Value), e può integrare il perseguimento di obbiettivi strategici, quali quelli ambientali e sociali, a seconda dei diversi casi concreti. Ciò vale per le singole procedure di acquisto ed esecuzioni dei contratti ma anche in una visione macro dell’intero settore economico.
4) Esercizio della discrezionalità e attuazione degli istituti flessibili. L’efficienza della contrattazione pubblica, a sua volta, passa attraverso il riconoscimento della necessaria dose di discrezionalità in capo alle stazioni appaltanti, come previsto dalle Direttive europee del 2014. Un approccio flessibile è necessario soprattutto per i contratti complessi (anche in relazione all’aspetto della tecnologia) che devono essere negoziati (tanto in fase di affidamento che di esecuzione) per consentire all’amministrazione di arricchire il suo bagaglio di conoscenze e addivenire a scelte consapevoli. A quattro anni dall’entrata in vigore del Codice si deve constatare che gli istituti flessibili (procedure di aggiudicazione e modelli contrattuali) non hanno trovato quasi mai attuazione e le amministrazioni continuano a muoversi secondo lo schema tradizionale dell’appalto affidato per lo più con procedure aperte o ristrette. Anche gli interventi del legislatore successivi al Codice (in particolare il correttivo e il c.d. sblocca cantieri) si sono concentrati su tale modello tradizionale, il che è chiaro segnale di scarso interesse per i modelli innovativi e flessibili.
5) Concentrazione e qualificazione delle stazioni appaltanti. Per un corretto esercizio della discrezionalità è necessaria una ulteriore concentrazione e qualificazione delle stazioni appaltanti con la definizione dei requisiti di qualità che devono possedere. Sarebbe anche auspicabile la creazione di un ruolo professionale specifico di buyer pubblico, focalizzato sulla qualità dei risultati e sul supporto ai centri di spesa nelle scelte e nella programmazione. Su questo ruolo si deve investire in competenze e motivazione, per la arrivare anche a valorizzare il procurement come strumento dell’attuazione delle linee politiche di sviluppo del paese.
6) Contrasto della corruzione attraverso il perseguimento dell’efficienza. Corruzione e inefficienza sono due mali distinti e separati che affliggono il settore dei contratti pubblici. Ciò non toglie, tuttavia, che fra le due patologie vi sia una connessione e, in particolare, che il perseguimento dell’efficienza della contrattazione pubblica possa costituire lo strumento più efficace per il contrasto alla corruzione che si nasconde dietro a tali inefficienze. Se la corruzione ha un costo, infatti, la riduzione delle inefficienze è la strada per creare un ambiente integro, meno permeabile a fenomeni indesiderati. Appare questo il sistema più idoneo a creare all’interno dell’amministrazione gli anticorpi per evitare che possa generarsi la malattia della corruzione.
7) Necessità che le specifiche misure pro-concorrenziali, per la trasparenza e per l’integrità non ostacolino l’obbiettivo dell’efficienza. Se l’obiettivo primario della regolazione e dell’attività amministrativa dei contratti pubblici deve considerarsi quello dell’efficienza degli acquisti, altri valori quali la concorrenza e la trasparenza e la stessa integrità devono considerarsi ad essa strumentali. Occorre che il perseguimento di tali obbiettivi strumentali non si traduca in un ostacolo al raggiungimento di quello primario, ponendosi in contrasto con l’efficienza degli acquisti: è necessario assicurare che le procedure di affidamento dei contratti pubblici non siano imbrigliate nell’affermazione di una concorrenza fine a se stessa (Compulsory Competitive Tendering); anche la trasparenza delle procedure non deve essere fine a se stessa (con l’effetto di creare inutili appesantimenti burocratici), ma deve inserirsi in una risistemazione degli strumenti di controllo (per i quali sono necessarie solo le informazioni essenziali sugli appalti e non quelle inutili) ed essere finalizzata a renderli più efficaci; sono certamente utili misure specifiche volte alla prevenzione della corruzione, ma queste non devono avere l’effetto di determinare perdite di efficienza, creando ulteriori margini dietro ai quali proprio la corruzione si può nascondere.
8) Dare fiducia ma misurare i risultati. La flessibilità dei modelli e la restituzione alle amministrazioni del giusto grado di discrezionalità, che presuppone fiducia nelle pubbliche amministrazioni, esige un adeguato sistema di misurazione dei risultati raggiunti e del loro controllo, al fine di evitare un uso distorto della stessa fiducia data. A tali fini, appare necessario stabilire a priori quale debba essere il risultato (performance) programmato della pubblica amministrazione, anche attraverso il ricorso a valori standard universalmente riconosciuti, e poi procedere alla verifica del risultato conseguito. Tutto ciò dovrebbe determinare la maggiore ed effettiva responsabilizzazione delle stazioni appaltanti e dei singoli dirigenti e funzionari che operano al loro interno, chiamati ad assicurare l’efficientamento e la lotta alla corruzione nel settore dei contratti pubblici.
9) Ripensamento dei controlli e contrasto alla c.d. paura della firma. E’ necessario un ripensamento dei controlli giurisdizionali. Il controllo del giudice (amministrativo e, soprattutto, contabile) dovrebbe tenere conto del risultato dell’attività amministrativa complessiva, ad esempio gli esiti di una procedura di affidamento o dell’esecuzione di un contratto, in termini di spesa, qualità, tempestività. L’attuale assetto di tali controlli, fondato sul controllo della legittimità dei singoli atti, appare un disincentivo per le amministrazioni dall’esercitare la discrezionalità, generando nei funzionari pubblici la c.d. paura della firma. Il solo rispetto della legalità formale, indipendentemente dai risultati raggiunti, mette al sicuro il funzionario pubblico dal pericolo di subire procedimenti giudiziari ai quali, in caso di scelte più coraggiose, sarebbe esposto. Occorre agire sulla componente motivazionale dei funzionari pubblici con la creazione di un adeguato sistema di premi e sanzioni legato all’effettivo raggiungimento del risultato dell’attività amministrativa.
10) La giustizia amministrativa. La giustizia amministrativa è da molti ritenuta causa di rallentamento e delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici. Sul punto si deve osservare che il problema non pare quello delle regole strettamente processuali che attualmente garantiscono processi rapidi, anche attraverso i rimedi cautelari. Piuttosto, si dovrebbe agire sotto due profili: a) attenta individuazione e successiva revisione degli istituti e delle disposizioni di diritto sostanziale che generano il contenzioso e loro riforma; b) ampliare il potere di merito del giudice e spostare l’oggetto del giudizio sul risultato dell’attività amministrativa e immaginare una sorta di dequotazione dei vizi formali, in caso di raggiungimento del risultato.
11) Restituire la necessaria autonomia alle discipline dei servizi e delle forniture. Le discipline dei servizi e delle forniture hanno perso la loro autonomia e sono state assorbite in quella dei lavori, che costituisce l’asse portante del Codice e alla quale vengono operati continui rinvii con locuzioni del tipo “per quanto applicabile” o “in quanto compatibile”. Se questo in parte è inevitabile, visto che la Direttive europee del 2014 (così come quelle del 2004) hanno unificato i tre settori, è pure vero che i servizi e le forniture appaiono oltremisura sacrificati, con la conseguenza di ulteriore incertezza degli operatori. E’ dunque necessario curare in modo particolare questi due settori che, peraltro, hanno la caratteristica di essere più sensibili all’innovazione tecnologica e informatica di quanto non lo siano i lavori. Il ragionamento vale per le discipline degli appalti della parte II del codice ma ancora di più delle concessioni della parte III e dei contratti di partenariato pubblico privato della parte IV.
12) Rendere autosufficiente la disciplina delle concessioni. Le parte III del Codice è dedicata ai contratti di concessione e recepisce la direttiva 2014/23/Ue. Tuttavia, mentre tale direttiva è autosufficiente rispetto alla 2014/24/Ue sugli appalti pubblici il nostro legislatore ha deciso di costruire la disciplina delle concessioni in modo non autonomo con continui riferimenti a quella sugli appalti della parte II, che si pone come disciplina generale dell’intero Codice. Il problema si pone in modo ancora più grave per le concessioni di servizi, visto che il rinvio alla disciplina applicabile in questo caso è doppio: il primo è dalla disciplina delle concessioni di servizi a quella sulle concessioni di lavori e il secondo, appunto dalle concessioni agli appalti. La conseguenza di tutti questi rinvii è quella di creare enormi incertezze sulla disciplina concretamente applicabile. Dunque, sarebbe auspicabile riscrivere la parte III del Codice in modo autosufficiente rispetto alla parte II, così risolvendo gli attuali dubbi interpretativi.
13) Revisione della disciplina dei partenariati pubblico privati e coordinamento con quella delle concessioni. Le disposizioni della parte IV del Codice sono dedicate ai contratti di partenariato pubblico privato, categoria generale nella quale rientrano anche le concessioni disciplinate dalla parte III. Le due parti tuttavia non appaiono coordinate, come dimostra la questione della collocazione delle concessioni c.d. fredde, che pure essendo concessioni (dunque, sotto il cappello della direttiva 23/2014/Ue) pare (ma il dubbio rimane) siano collocate nella parte IV (che, trattando di partenariati, non dovrebbe fare riferimento alla stessa direttiva 23/2014/Ue). La disciplina dei vari tipi di contratti di Ppp (leasing in contruendo, contratto di disponibilità, ecc) è stata acriticamente importata dal Codice del 2006 ed è piena di contraddizioni, errori e lacune. Sono stati, in ultimo, inseriti in tale parte altre tipologie di contratti (interventi di sussidiarietà orizzontale e baratto amministrativo) che non hanno alcuna parentela con il partenariato pubblico privato ma che potrebbero essere considerati un partenariato pubblico – sociale. Il problema si pone, ancora una volta per i servizi, dal momento che le disposizioni della parte IV sono costruite per i lavori e applicabili ai servizi “in quanto compatibili” (art. 179 comma 3), lasciando grande incertezza sulla disciplina concretamente applicabile.
14) Riforma dell’Anac e potenziamento della vigilanza collaborativa. L’Anac ha assunto ormai troppe anime e appare ormai inadeguata a svolgere tutte le funzioni che le sono assegnate. A tale autorità dovrebbero rimanere generali competenze di Autorità anti-corruzione e per trasparenza, trasversali e non caratterizzanti la sola materia dei contratti pubblici.
Per il settore dei contratti pubblici occorre ricreare un’Autorità di settore che si occupi dell’efficienza degli acquisti con: l’abbandono definitivo del modello delle linee guida vincolanti; lo sviluppo sistematico di linee guida non vincolanti, anche e soprattutto a carattere tecnico (sul modello delle best praticies); l’implementazione della funzione di vigilanza collaborativa e di ausilio alle stazioni appaltanti; una modalità operativa che risponda ad una logica non repressiva ma di fiducia/controllo.
15) Creazione di una disciplina generale dell’emergenza. Le emeregenze non sono purtroppo un fatto raro. La risposta del codice alle situazioni emergenziali (artt. 163 e 63 comma 2 lett. c) è del tutto insufficiente e determina la necessità di andare in deroga (caso del ponte di Genova), di reiterare periodicamente decreti emergenziali (caso dei terremoti), o semplicemente di disapplicare di fatto norme del Codice (caso accaduto con gli acquisti sanitari per il Covid-19). Occorre, dunque, prevedere una disciplina generale degli acquisti in emergenza, garantendo la necessaria flessibilità e al contempo un adeguato controllo che l’emergenza non diventi occasione di malaffare. Allo stesso tempo, occorre essere estremamente rigorosi sull’individuazione delle reali emergenze in modo che non si abusi di tali strumenti.
Appare, dunque, necessaria una discussione che parta dalle proposte individuate, che si muova nel rispetto del quadro di riferimento europeo e che si proponga di non stravolgere del tutto l’attuale assetto interno, salvandone le parti migliori. Tale discussione appare irrinunciabile se si vuole dare coerenza ed organicità, una volta per tutte, alla legislazione dei contratti pubblici, con positive ricadute per il mercato regolato.
*Alessandro Botto e Gianfrancesco Fidone sono professore di Diritto e Regolazione dei Contratti Pubblici e di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Giurisprudenza della Luiss di Roma