Come il virus cambia la moda
Il made in Italy deve ripartire dalla valorizzazione del territorio e dall’eccellenza di chi lo modella. Parola ai manager che con le loro scelte stanno imprimendo una svolta al settore
Con il turismo, la moda è stato il settore più colpito dalla pandemia. Il lockdown prima, l’incertezza oggi, hanno azzerato le fiere e i saloni, annullato le sfilate in presenza, svuotato i negozi dei centro città che solo adesso, timidamente e fra mille protocolli di sicurezza, iniziano nuovamente ad accogliere i clienti. Molte cose stanno cambiando nel settore; molte stanno solo subendo un’accelerazione già prevista, come l’e-commerce; altre stanno rafforzandosi oggi, come le rappresentazioni e gli acquisti di moda sulle piattaforme digitali per buyer e giornalisti. Due settimane fa, con una lunga analisi, abbiamo provato a immaginare il futuro che aspetta la moda e il lusso italiani, senza dimenticare mai il cuore della sua eccellenza, e cioè la filiera. Adesso, abbiamo lasciato la parola ai più grandi attori di questa filiera; i manager e gli imprenditori che con le loro scelte stanno imprimendo una svolta a tutto il comparto. Ci hanno scritto in prima persona, ognuno dalla propria prospettiva. Ne è nato un quadro ricco, autorevolissimo e composito da cui emerge però un tratto univoco, un elemento sul quale nessuno è disposto a cedere: la valorizzazione del territorio e l’eccellenza di chi lo crea, lo modella. Il fattore umano è la grande e vera risorsa del made in Italy.
Gli interventi di
Jean Christophe Babin, CEO Bvlgari
Marco Bizzarri, Presidente e CEO Gucci
Stefano Beraldo, CEO OVS
Carlo Capasa, Presidente Camera Nazionale della Moda Italiana
Antonio Franceschini,Responsabile Nazionale CNA Federmoda e Responsabile Ufficio Promozione e Mercato Internazionale CNA
Pier Luigi Loro Piana
Matteo Lunelli, Presidente Fondazione Altagamma
Claudio Marcolli, Managing Director Swarovski Internazionale d’Italia
Claudio Marenzi, Presidente Herno, Confindustria Moda e Pitti Immagine
Raffaello Napoleone, Amministratore delegato Pitti Immagine
Antonio Quirici, Presidente del Consorzio Cuoio di Toscana
I valori umani creano valore
di Jean Christophe Babin, ceo Bvlgari
Sono fermamente convinto che la crisi sia, in generale, un insieme di rischio e occasione. Credo che il modo giusto di affrontarla sia renderla una vera e propria risorsa, un’opportunità. Nella crisi è implicito un potenziale evolutivo, di cambiamento positivo che mette in dubbio le nostre certezze e spesso ci indirizza verso un rinnovamento autentico attraverso risorse che non pensavamo nemmeno di avere. Se guardiamo alle più grandi crisi del passato come la Prima e la Seconda guerra mondiale, sono state le occasioni che hanno permesso una rinascita sociale ed economica di grande successo, stimolata dalla creatività, idee nuove e modi di trasformare la vita di tutti i giorni. In tal senso, il Covid-19 è stato per Bvlgari, e per me come ceo, un momento di riflessione. Senza mai fermarci, ci siamo focalizzati su un percorso già iniziato e già parte del Dna del brand, che vede come protagonisti il lusso, l’eccellenza e la sostenibilità in una sinergia perfetta. Il mondo digitale ha guadagnato un ruolo da protagonista che ci ha permesso di analizzarlo e implementarlo rendendo anche le vendite da remoto un’esperienza Bvlgari, unica a tutti gli effetti. Ci ha permesso di approcciare un cliente di nuova generazione che vuole più trasparenza, più informazioni su cosa c’è dietro ad un nostro prodotto, dalla manifattura all’approvvigionamento delle materie prime, ma senza mai dimenticare che si tratta di un prodotto Bvlgari e dunque un mix magico di eccellenza e bellezza in uno stile puramente italiano. Dal gioiello milionario all’accoglienza in un Bvlgari hotel, tutto può essere raccontato con la stessa magia, aggiungendo dettagli di etica e sostenibilità che fanno la differenza. Ci è stata inoltre data l’opportunità di essere parte attiva nella lotta contro la pandemia attraverso una donazione importante fatta all’ospedale “Lazzaro Spallanzani”, che con un microscopio 3D ad altissima definizione ha permesso ai suoi ricercatori un’accelerazione nella ricerca del vaccino. Con il supporto del nostro partner storico Icr, abbiamo convertito in gel disinfettante la produzione di fragranze distribuendolo nelle strutture sanitarie di Italia, Svizzera e Regno Unito oltre ventimila pezzi al giorno. Abbiamo inoltre annunciato la nascita del Bvlgari Virus Free Fund, un’organizzazione senza fini di lucro, che finanzierà istituzioni di fascia alta che perseguono strategie di ricerca innovative per raggiungere la remissione e la cura di diversi tipi di virus e che ci rende orgogliosi di poter alimentare le menti più talentuose del domani. In particolare, il Bvlgari Virus Free Fund supporterà due importanti istituzioni: il Jenner Institute dell’Università di Oxford, che riunisce ricercatori che stanno progettando e sviluppando numerosi vaccini, nonché l’Istituto nazionale per le malattie infettive di Roma “Lazzaro Spallanzani”. Bvlgari sente fortemente la responsabilità di lavorare alla creazione di un futuro del lusso che, oggi più che mai, ha la meravigliosa possibilità di reinventarsi attraverso diverse strade convergenti tutte ad un unico obiettivo: l’eccellenza.
Indietro non si torna. E per farlo si deve investire sulle persone
di Marco Bizzarri, presidente e ceo Gucci
Indietro non si torna: sarebbe ingenuo pensare che alla fine dell’emergenza coronavirus – un’emergenza imprevista che si è affermata come *la* sfida che definirà la nostra generazione – tutto torni come prima. Nel caso della moda e del lusso, un ritorno allo status quo – anche se fosse possibile – non sarebbe neppure auspicabile. Si tratta piuttosto di aprire un nuovo capitolo. I segnali di ripresa, nelle nazioni che stanno uscendo finalmente dai mesi del lockdown, sono altresì inequivocabili. In questa fase resta di importanza fondamentale per un’azienda la scelta di investire sul capitale umano: il vero vantaggio competitivo è dato dalle persone. Dalle loro idee, dai loro valori. Oggi più che mai, i valori creano valore. L’emergenza coronavirus se possibile ha reso questo punto ancora più chiaro. E più necessario. Il cuore di Gucci è sempre stato italiano. Parte da Firenze, dalla manifattura italiana, e si estende al mondo attraverso una rete globale. E l’esperienza del made in Italy, il nostro saper fare che attrae aziende del settore del lusso da tutto il mondo, in questi mesi ha avuto e continua ad aver bisogno di aiuto e di supporto. Lo spirito di comunità, la consapevolezza di un impegno da condividere insieme sono rimaste le nostre priorità anche in questa fase.
Per questo con Intesa Sanpaolo abbiamo varato il Programma Sviluppo Filiere con l’obiettivo di assicurare che la bandiera del made in Italy, mentre l’economia riparte, possa continuare a rappresentare il patrimonio italiano nel mondo come ha sempre fatto finora. A Firenze c’è il nostro primo polo produttivo. In Italia c’è una rete manufatturiera di stabilimenti e fornitori unica, una rete che il mondo ammira e che, francamente, ci invidia. Il sogno di bellezza di Gucci è un sogno italiano che racconta al mondo il potere dell’immaginazione e la bravura, assoluta, della manifattura italiana. Made in Italy è più di una sigla, è un modo di concepire la bellezza e, di conseguenza, la vita. All’estero esistono realtà produttive di alto livello. Lo spirito del made in Italy esiste solo qui.
Sostenibilità ed etica, anche producendo fuori dall’Italia. E viva il vintage
di Stefano Beraldo, ceo Ovs
Produrre e distribuire abbigliamento in modo etico non dipende da dove lo si fa, ma da come. Produrre in Bangladesh o in Myanmar o in Vietnam, all’interno di fabbriche pulite, che offrono assistenza sanitaria, mensa, asilo, ai figli dei lavoratori, significa non solo produrre a basso costo, ma anche contribuire alla crescita sociale di paesi dove le condizioni di vita migliorano di pari passo con lo sviluppo economico. Produrre in modo etico non dipende dal posizionamento prezzo di ciò che realizziamo o dal vendere a prezzi accessibili, ma dal poter comunicare con trasparenza i propri processi. Dove e come i capi vengono realizzati. Con quali impatti per l’ambiente. Noi lo facciamo. Diciamo quanta acqua venga consumata per produrre un paio di jeans. Abbiamo creato la carta di identità dei nostri prodotti, per spiegare l’impatto di ciascuno di essi. Quanto consumo di CO2, per esempio, oppure il suo indice di riciclabilità. Il nuovo che verrà, post Covid, porterà forse più attenzione, oltre che a questi aspetti, anche alla durata dei capi che acquistiamo e indossiamo. E, speriamo, al piacere di portarli per molte volte, come parte del nostro stile, recuperando magari il cappotto di papà o quel suo bel maglione a coste di lana morbida. Se questo succederà, avremo un po’ meno fast fashion e più cura al ben fatto. Alla qualità dei tessuti e delle finiture. Alle fibre naturali. E sarà anche questo un nuovo passo verso la moda etica.
No ai tempi del fast fashion. Le sfilate digitali aiuteranno il sistema a rafforzarsi
di Carlo Capasa, Presidente Camera Nazionale della Moda Italiana
In questo momento storico di transizione e cambiamento, che coinvolge tutto il mondo, è più che mai importante agire coesi per poter ridisegnare e salvaguardare il futuro del nostro sistema. La moda è l'industria italiana più strategica: siamo il primo paese in Europa con il 41 per cento della produzione del tessile abbigliamento ed accessori; abbiamo un vantaggio di 30 punti percentuali sul secondo paese che è la Germania, mentre la Francia ha una quota di produzione pari all’8 per cento. È un primato di cui essere orgogliosi, nessuna industria ha un tale distacco sugli altri Paesi del nostro Continente. Siamo il primo produttore di moda di lusso al mondo e ogni brand che voglia produrre alta qualità si rivolge a noi. Siamo inoltre i maggiori esportatori del nostro Paese con una cifra pari a 70 miliardi nel 2019 e gli ambasciatori nel mondo dei valori positivi dell'Italia.
L’industria della moda è unica in quanto unisce gli artigiani, le piccole e medie imprese e i grandi brand, facendoli lavorare fianco a fianco, guadagnandoci in creatività, flessibilità, qualità, cura del prodotto e sostenibilità. È anche unica perché rappresenta moltissimi mestieri e professionalità. Il ruolo di Camera Nazionale della Moda Italiana è di promuovere e supportare i valori e lo sviluppo della Moda Italiana in Italia e nel mondo: i nostri primi cento soci rappresentano il 54% di tutto il fatturato del settore, trainando un sistema che dà lavoro a più di 60mila imprese. In questo momento di difficoltà stiamo lavorando uniti per sviluppare delle strategie che possano salvaguardare e rilanciarlo. Per quanto riguarda il futuro delle fashion week, credo che i quattro appuntamenti con le settimane della moda vadano mantenuti: il format see-now-buy-now (vedi-compri, esasperazione del fast fashion, ndr) non può funzionare per i nostri designer e il loro processo creativo, si rischierebbe trasformare la nostra industria in una macchina basata sul marketing, rinunciando a perdere il primato creativo che contraddistingue la nostra industria. A luglio presenteremo la prima Milano Digital Fashion week, come Camera Nazionale della Moda Italiana abbiamo iniziato a integrare un format digitale già durante la Fashion Week di febbraio, ampliando lo streaming al mercato cinese, che era già in piena emergenza COVID-19. I dati hanno dimostrano che l'apertura al digitale ha avuto un impatto molto positivo, la Fashion Week di febbraio ha generato un Earned Media Value di 62,6 mln € (dati DMR Group), un primato, raggiungendo un bacino di circa 25 milioni di utenti. Nel futuro le Fashion Week uniranno sempre più eventi fisici e digitali. Il potenziale offerto dal digitale permetterà di affiancare all’approccio prevalentemente business, pensato per gli addetti ai lavori che hanno necessità di poter fisicamente vedere le collezioni, a un approccio maggiormente dedicato ai clienti finali. Grazie al digital infatti i contenuti e il messaggi vengono amplificati e creano un bacino di utenza maggiore, coinvolgendo un pubblico di appassionati in tutto il mondo e creando un forte senso di community. Consapevolezza, senso della comunità, sostenibilità ambientale e sociale, inclusione della diversità. Sono queste le linee guida che in modalità fisica e digitale guideranno lo sviluppo futuro della industria della Moda.
Tutelare i piccoli serve anche ai grandi
di Antonio Franceschini, Responsabile Nazionale CNA Federmoda e Responsabile Ufficio Promozione e Mercato Internazionale CNA
Il cardine del sistema del Made In Italy è la filiera, la necessità di mantenere e tramandare le competenze attraverso politiche che riconoscano l'importanza di tutte le componenti produttive e che operino per sostenere formazione tecnica e professionale e trasmissione d'impresa.
I driver vincenti per la strategicità del fatto in Italia sono: stile, design, creatività; forte capacità propositiva e di ri-generazione del Made in Italy; forte tessuto imprenditoriale e produttivo; struttura, versatilità e integrità della filiera; prossimità degli anelli della catena come elemento competitivo. La nostra capacità di fare, la diffusione delle conoscenze in tanti fornitori, subfornitori e contoterzisti sono qualità estremamente apprezzate all’estero; importanti gruppi internazionali hanno adottato policy interne per cui una percentuale rilevante del loro materiale viene approvvigionata in Italia. Tutto questo deve poi essere preservato e rinnovato attraverso la trasmissione del saper fare (tirocini, maestri artigiani, botteghe scuola, apprendistato). È necessario favorire al meglio l’inserimento in azienda di giovani leve e facilitare il passaggio di impresa dotandoci di strumenti, forme (spin off aziendali) ed incentivi economici e fiscali, soprattutto in questo momento.
Dal punto di vista comunicativo dobbiamo porre in evidenza come il made in Italy interpreti non solo i valori di bellezza e qualità dei prodotti, ma anche quelli di una produzione sostenibile dal punto di vista sociale, etico, ambientale. Il legame molto forte tra tessuto imprenditoriale e tessuto sociale espresso dai diversi distretti rappresenta il valore aggiunto del nostro sistema.
Tutelare il patrimonio di conoscenze insito al made in Italy è nell’interesse di tutti, anche delle grandi imprese. Artigianato e PMI sono ancorati ai luoghi dove gusto e qualità hanno la meglio sulla competizione al ribasso sui prezzi. Serve pertanto una visione condivisa, un’unità di filiera sulla necessità di riconoscere il valore anche economico delle competenze lungo tutti gli anelli della catena imprenditoriale.
L’impoverimento della filiera, la perdita di competenze tecniche riverserebbero sulle aziende a valle diversi costi aggiuntivi quali la mancanza di flessibilità, costi di ricerca e sviluppo; e soprattutto, una volta compromessa la filiera “a monte” sarebbe praticamente impossibile rigenerarla.
Privato e pubblico devono accettare insieme il rischio
di Pier Luigi Loro Piana
Il Made in Italy non ha bisogno di rilancio. Sta però subendo le conseguenze di una pandemia che ha colpito tutti i territori in cui il Made in Italy si è affermato e ha avuto successo. Con questo sistema i danni e le perdite del Made in Italy sono ingenti e mettono a rischio la tenuta di molte aziende. In questo scenario, credo che si debbano fare enormi sforzi di rinnovamento di prodotto, attività di marketing internazionale e presenza capillare sui mercati del made in Italy. Bisogna difendere il sistema Italia del Tessile abbigliamento nel suo complesso: piccole, medie e grandi aziende, perché è la molteplicità delle nostre proposte che ha reso grande il nostro sistema e non si deve accettare una riduzione o un consolidamento degli attori dell’offerta, cioè degli imprenditori. Per fare questo andranno trovate risorse finanziarie pubbliche e private unite, in uno sforzo eccezionale, per i prossimi diciotto mesi. Le aziende devono finanziare le perdite a cui vanno incontro nel 2020, ma al tempo stesso investire in attività commerciali per il loro futuro. In questa dinamica, le fiere di settore sono fondamentali strumenti di penetrazione dei mercati. Se i clienti non hanno possibilità di venire in Italia in questo momento, , le nostre fiere devono organizzarsi in mercati di sbocco e finanziare gli espositori; i prodotti accelerare il rinnovamento per essere attraenti e competitivi. Tutto questo, come ovvio, costa. In risorse economiche e soprattutto umane. Come aiutare le imprese? Con contributi a fondo perduto, prestiti di lungo periodo a tassi agevolati, dunque banche che accompagnino con rapidità le imprese e gli imprenditori nella difesa delle maestranze e del loro lavoro. Solo in questo modo non lasceremo spazio a concorrenti stranieri che localmente, possiamo esserne certi, saranno molto aggressivi.
Ci sono duecentomila posti di lavoro nella manifattura
di Matteo Lunelli, Presidente Fondazione Altagamma
L’alto di gamma italiano racchiude aziende eccellenti di settori diversificati come moda, design, alimentare, automotive, ospitalità, gioielli, nautica, tutte accomunate da notorietà internazionale e una matrice creativa-culturale. Sono aziende solide, con sfide globali e complesse in mercati in continua evoluzione. L’emergenza COVID ha colpito duramente l’intero alto di gamma con un calo di fatturato del 20-35 per cento e stime di ripresa a livelli pre-crisi solo nel 2022. Parliamo di un’industria cruciale per il Paese, che vale 115 miliardi di euro, contribuisce per il 6.75 per cento al PIL italiano e impiega più di 400mila addetti: un comparto che è ambasciatore nel mondo dello stile di vita italiano e una locomotiva per il nostro paese.
Post-Covid, alcune delle tendenze emergenti diventeranno sempre più rilevanti. Penso anzitutto all’innovazione ovvero alla digitalizzazione dei canali di vendita, con l’online destinato a diventare in cinque anni il primo canale del lusso e sempre meglio integrato con il punto di vendita fisico. Ma penso anche alla sostenibilità, un tema in linea con la nuova sensibilità dei consumatori e l’interconnessione globale dei nostri sistemi sociali, economici e produttivi. Peraltro l’Unione Europea – nel recente Recovery Plan - ha sottolineato come proprio innovazione e sostenibilità saranno ambiti prioritari in questa fase di ripresa e al contempo di transizione verso un’economia circolare. Inoltre, i mercati di alta gamma saranno ancora più sensibili all’autenticità dei prodotti e alla qualità manifatturiera che ci contraddistingue. Per questo occorrerà investire anche in formazione e attrarre i giovani verso professioni manifatturiere che costituiscono il DNA del nostro Made in Italy dove oggi stimiamo una mancanza di ben 236mila figure professionali qualificate entro il 2023. Altagamma sta mettendo al centro delle proprie strategie questi temi senza dimenticare un elemento imprescindibile: la valorizzazione dell’italianità e la promozione del turismo di alta gamma. Il turismo è un settore rilevante per l’Italia e una leva strategica di sviluppo per il nostro comparto. Ben il 60 per cento degli acquisti di beni lusso è realizzato da turisti internazionali che, mentre sperimentano lo stile di vita italiano, producono un rilevante indotto economico per i nostri brand, ma anche per i nostri territori. Da secoli l’Italia è la destinazione più desiderata, la patria della bellezza e il Grand Tour per eccellenza. Un posizionamento unico e irripetibile che abbiamo ereditato, ma che va tutelato, protetto, e per il quale bisognerà creare una nuova e più diffusa consapevolezza.
Non si può giocare questa partita al ribasso su lavoro e prezzi
di Claudio Marcolli, Managing Director Swarovski Internazionale d’Italia
Quando rifletto sull’oggi la mia mente torna, ricorrente, al Rinascimento, periodo storico di grande cambiamento socio-economico-politico, tra il buio Medioevo e l’Età Moderna. Torno con il pensiero a questo periodo, in cui l’Italia è stata culla e centro di espressione massima della nostra capacità artistica e creativa, torno alla nostra cultura, aspetto fondamentale per una rinascita. Non ci sono infatti dubbi che il Made in Italy sia normale conseguenza del nostro retaggio storico-culturale e della nostra attitudine, ma oggi ci troviamo a vivere un “qui ed ora” che deve trovare un nuovo punto di equilibrio tra tradizione e cambiamento, sviluppando nuove (ma forse antiche) idee, coadiuvate da un modo differente di approcciarsi ad un sistema consolidato, ad un meccanismo collaudato che funzionava richiedendo una velocità complicata da sostenere, ma che è stato forzatamente messo in stand by e che ora necessità di una revisione. Non credo esista un’unica ricetta per il futuro del Made in Italy, ma molti ingredienti che ben amalgamati potranno portarci a trovare un’espressione ancora più forte. Fondamentale sarà intervenire sulla modalità con cui ci approcciamo a questo valore; come produciamo, dove produciamo, riprendendo il controllo di una parte della filiera, che forse fino a ieri aveva senso delocalizzare, ma che in un momento come questo, in cui abbiamo imparato la fragilità della lontananza, ha altrettanto senso riportare, in parte, a casa. Sappiamo di non essere il Paese delle imprese dalle grandi dimensioni, ma siamo la nazione del saper fare, dei creatori di bellezza ed è su questo che dobbiamo puntare, è chiaro che il tutto è un gioco molto più complesso, ma vorrei focalizzarmi su quest’aspetto, tanto caro e peculiare della nostra realtà. Non possiamo permetterci di disperdere il nostro patrimonio artigiano, dobbiamo cercare di creare un sistema virtuoso dove tutti i player del Made in Italy trovino o ritrovino una collocazione degna del proprio lavoro, dove i grandi protagonisti, ambasciatori del Paese, lavorino in sinergia anche con le piccole imprese capaci di rendere lavorazioni e servizi di alto livello, con il sostegno delle istituzioni, per far sopravvivere e dare nuova linfa al sistema. E’ evidente che questa partita non può essere giocata solo sul prezzo, ma va pensata e legata ad un prodotto nato da una filiera sostenibile e controllata; si dovrà trovare un equilibrio tra profitto e volontà di dare il giusto valore ad una prestazione di qualità, questo anche per garantire l’indispensabile ricambio generazionale, rendendo attrattivo, riconosciuto e riconoscibile un lavoro che non concettualizza il Made In Italy, ma lo realizza. Come scriveva Pico della Mirandola in De hominis dignitate abbiamo la capacità di autodeterminarci e di decidere cosa vogliamo fare e dove vogliamo andare e questo è applicabile anche adesso ad ogni individuo, ma in maniera più allargata a tutta quella rete di piccole e grandi imprese del tessuto del nostro paese e io spero che questo nuovo Rinascimento si basi su opportunità condivise e perseguite da tutti gli attori del sistema.
Prendiamo tempo per non sbagliare sull’onda dell’emozione
di Claudio Marenzi, Presidente Herno, Presidente Confindustria Moda, Presidente Pitti Immagine
Nel recente periodo di obbligata e corretta clausura, per coloro che in ruoli e in campi diversi hanno il dovere di mantenere la testa "in forma”, l’allenamento alla flessibilità mi auguro sia stato quello più intenso. Stiamo vivendo una crisi del consumo forzata, indotta da virus e non da corsi storici economici. Evitare che qualunque decisione scaturisca da un atteggiamento virato dagli accadimenti terribili dei mesi passati, è un buon inizio per non sbagliare e per non proiettare sul futuro ombre e rimedi inadeguati se non addirittura errati. Osservare, rallentare, modificare, e trasformare. Sono convinto che sia questo il momento per il “pensiero lento” sul lungo periodo. E se questo vi potrà sembrare qui una contraddizione in termini, concretamente invece, alla contraddizione dobbiamo farci l’abitudine e allenarci per non arenare i nostri pensieri. Ecco, mi riferisco a “l’otium”, quello dei latini, non certo all’attuale accezione negativa del termine, come il corretto atteggiamento da seguire: era la cura di se, della propria saggezza che passava attraverso la contemplazione e lo studio, imprescindibile per svolgere il lavoro pubblico.
La prontezza quindi lasciamola per le valutazioni a breve, aiutati da quelle caratteristiche ben innate nella nostra italianità, la fantasia, la creatività, il guizzo geniale, che ci permetteranno di vedere e valutare le esigenze reali nell’immediato e trasformarle a nostro favore. Siamo animali sociali, portati ad amare i sensi. Possiamo dimenticare intelligentemente e facilmente andare avanti, senza doverci piegare a disastri economici, semplicemente vivendo la nuova normalità.
Flessibilità e trasformazione. L’otium degli antichi e la velocità creativa. Questa è la contraddizione dei nostri tempi flessibili.
Regole omogenee per vendere. E aiuti Iva a chi esporta
di Raffaello Napoleone, amministratore delegato Pitti Immagine
Abbiamo cercato fino all’ultimo di mantenere le date di Pitti Uomo di giugno e poi quelle di settembre dei nostri appuntamenti, ma l’evoluzione della situazione sanitaria e le sue conseguenze economiche sul mercato italiano, europeo e internazionale non ce l’ha permesso. L’epidemia ha certamente accelerato e reso più evidenti criticità del sistema moda che esistevano già da prima. Sono sicuro che la scossa che abbiamo subito ci sarà d’aiuto per reagire e correggerle.Adesso però è fondamentale che dallo stallo e dall’incertezza totale attuali si passi a una serie di certezze relative riguardanti la possibilità per gli addetti ai lavori (e più in generale per i turisti) di continuare a spostarsi da un paese all’altro in sicurezza e con modalità e tempi non così complicati (e spesso contraddittori). E di farlo in un quadro internazionale omogeneo, pur sempre aggiornabile, di regole. Ma regole chiare e meno terrorizzanti servirebbero anche ai consumatori finali di moda, in modo da consentire loro di riavvicinarsi con più fiducia ai negozi e ai department stores, incentivati magari anche da un abbassamento dell’Iva sull’abbigliamento, come è stato fatto in Germania. Per chi produce moda – specialmente le aziende piccole e medie: la maggioranza degli espositori delle nostre manifestazioni, quelle che oggi soffrono di più in termini di liquidità e per le quali le fiere sono i primi e più importanti strumenti di promozione internazionale ̶ saranno fondamentali interventi speciali di finanziamento a fondo perduto per parteciparvi. Abbiamo cercato di stimolare il governo in questo senso, pensando sia alle aziende italiane che alle estere che hanno una produzione significativa in Italia, ma i tempi di attuazione sono piuttosto lunghi.Contiamo che siano possibili per le manifestazioni del gennaio 2021, assieme alle altre proposte che avevamo preparato per questo settembre: cioè a un piano straordinario di ospitalità rivolto ai più qualificati buyer internazionali; a convenzioni con gli alberghi di Firenze per offrire, a loro e agli espositori, condizioni più vantaggiose di soggiorno; a soluzioni più leggere per la presentazione delle collezioni (con formule preallestite capaci di ridurre i costi di produzione degli stand); oltre naturalmente alle indispensabili misure di sanificazione e sicurezza degli spazi. E poi a Pitti Connect, la nuova, potenziata piattaforma digitale della fiera capace di offrire funzioni avanzate di networking e marketplace a tutti, che è l’evoluzione ultima di dieci anni di impegno di Pitti Immagine nel campo della digitalizzazione delle attività fieristiche. A settembre le nostre fiere fisiche non potranno esserci: però Pitti Connect ci sarà – grazie anche all’aiuto che abbiamo ricevuto da Ice. E non sarà soltanto un “sostituto virtuale” della fiera, ma qualcosa che servirà a innovare l’idea stessa del fare fiere di moda. Pitti Connect sarà una delle conseguenze positive di questa crisi che stiamo attraversando.
Lavorare sul territorio, formando eccellenze
di Antonio Quirici, Presidente del Consorzio Cuoio di Toscana
Lavorare sui valori identitari, sul territorio e sulla sostenibilità della produzione. Sono profondamente convinto che, seguendo questa visione, le caratteristiche di qualità, di naturalità e di sostenibilità delle imprese che fanno parte del nostro Consorzio saranno gli atout indispensabili per guardare avanti. Su questo puntiamo da sempre per promuovere quel patrimonio di competenze e di know how unico al mondo che accomuna le nostre sette imprese associate. Abbiamo fatto nostra una cultura del prodotto costruita sulla naturalità dei procedimenti ed enfatizzata dal legame con il territorio che diventa espressione del più autentico Made in Italy; sostenuta dall’artigianalità di lavorazioni naturali portate avanti da maestranze che vengono formate per garantire la continuità di un mestiere antico e nobile, capace di fare sempre la differenza. È in quest’ottica che, per noi, diventa prioritaria la sostenibilità: vera, certificata, tracciabile. Una visione consapevole che coinvolge l’intero processo produttivo: dal cuoio proveniente da allevamenti cruelty free a lavorazioni che utilizzano solo tannini naturali, capaci di esaltare le qualità intrinseche della materia prima – in termini di duttilità e di impatto ambientale. Un processo che esalta le caratteristiche naturali del cuoio e che, al contempo, assicura la perfezione del prodotto finale grazie a tecniche di finissaggio che rendono la materia prima malleabile e pronta ad accogliere le lavorazioni stilistiche delle grandi maison. Ma l’elemento fondamentale resta ancora e sempre il fattore umano, oggi più che mai da proteggere e da valorizzare: il pericolo della pandemia ci ha reso ancor più consapevoli dell’importanza di mettere in sicurezza i nostri lavoratori e, conseguentemente, le attività produttive. Salvaguardare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro è sempre stata una priorità per noi, adesso lo è ancora di più.