Addio Mr Secondamano-Luciano Cervone, il fondatore di eBay prima di internet
E' stato un imprenditore di razza, gran lettore dei "corsi di borsa, che si avvicinò all’editoria senza timori reverenziali, anticipando le piattaforme digitali
Che cos’è un imprenditore? In ogni tentativo di rispondere a questa domanda entrano in gioco non solo le nostre idee di impresa e di mercato, ma anche dei tratti umani, delle attitudini, il carattere delle persone. Per me la risposta avrà sempre il volto del mio amico Luciano Cervone (1940-2020), lettore di questo giornale sin dal primo numero, che è venuto a mancare pochi giorni fa. Il suo nome dirà poco ai più, ma Luciano era un imprenditore di razza.
Nel 1977, assieme a Franco Giuffrida (una “strana coppia di manager e fricchettone”, per Repubblica) fondò “Secondamano”. Anche questo nome dirà poco ai più. Il concetto, per spiegarlo ai millennial, è stato poi perfezionato da eBay: uno sterminato mercato di beni, per l’appunto, di seconda mano, già transitati per un proprietario che, per qualche ragione, se ne vuole disfare. Solo che all’epoca non c’era eBay, la pubblicità sui giornali era elitaria, i piccoli annunci sulle grandi testate costavano caro e per giunta avevano tempi lunghi. “Secondamano” fu il primo giornale di annunci gratuiti, pubblicati quasi istantaneamente, “quasi” per i tempi di questa cosa old economy che è la stampa. Divenne presto un fenomeno da cinquantamila copie e poi su su fino a sfiorare, negli anni Novanta, il mezzo milione. Anticipando l’epoca delle “piattaforme”, “Secondamano” metteva in contatto offerta e domanda, creando occasioni di scambio. L’idea venne rapidamente esportata e portò Cervone e Giuffrida in giro per l’Europa, anche nella Russia della Perestroijka dove, mi spiegava Luciano, “Secondamano” funzionava benissimo proprio per le inefficienze dell’economia pianificata che si stava squagliando: erano molti i beni e gli oggetti che venivano distribuiti, sì, ma a persone che avevano tutt’altri bisogni di quelli immaginati dal Partito.
Abruzzese emigrato a Milano senza padrini né santi in paradiso, Luciano era laureato in filosofia alla Cattolica e in precedenza si era occupato di relazioni industriali, alla Rank-Xerox e poi per la Rinascente. Occuparsi di rapporti di lavoro non è mai facile, in Italia, figurarsi se lo era negli anni Settanta. Richiedeva e richiede, però, un certo fiuto nell’avere a che fare con gli esseri umani, che è uno dei tratti distintivi dell’imprenditore. Luciano divenne imprenditore con “Secondamano”, non lo era prima, e questo forse spiega perché lui, che era un uomo colto, si avvicinò all’editoria senza affettazione, senza timori reverenziali, guardando ai bisogni delle persone e non per accumulare pubbliche benemerenze. Molti creatori d’impresa finiscono per innamorarsi della loro creatura. Non è sempre, non è solo, questione di profitti: è anche consapevolezza d’aver fatto bene e desiderio di continuare a farlo. Luciano negli anni Novanta fece la cosa più difficile per molti: tagliò il cordone ombelicale, vendendo al momento giusto. Da allora si è dedicato agli investimenti: o, come si sarebbe detto in un’altra stagione, a “giocare in borsa”. La dimensione del gioco era importante, nel suo modo d’intendere gli affari e, credo, anche la vita. Gioco non nel senso di qualche cosa di banale, ma di una faccenda nella quale contano sia le doti e le abilità sia, inevitabilmente, il caso, la fortuna. Quelli bravi di se stessi dicono sempre: sono stato fortunato. Luciano era un “lettore” dei corsi di borsa, cercava di trarne tutte le informazioni rilevanti su un’impresa per indovinarne la rotta, con gusto intellettuale. I mercati erano puzzle da scomporre e ricomporre per capire dove si infilano i pezzi, e perché.
Un imprenditore può essere fatto grande dalla sua tenacia, dall’intuizione, dal carattere. Ma anche dalla curiosità, che Luciano inseguiva sui giornali, nella ricostruzione degli eventi politici, nell’indagine divertita dei comportamenti e delle stramberie delle persone. Ecco un’altra stramberia: quelli che scrivono elaborano i lutti scrivendo. Mi perdonerai, amico mio così schivo, e mi perdonerà Gabriella, se per farlo ho avuto bisogno di raccontare qualcosa di te.